-
1 punto
"point;Punkt;ponto"* * *1. past part vedere pungere2. m pointpunto di vista point of view, viewpointpunto cardinale point of the compasspunto culminante heightpunto di partenza starting pointpunto di fusione melting pointfino a che punto sei arrivato? how far have you got?alle dieci in punto at ten o'clock exactly or on the dotpunto fermo full stop, AE perioddue punti colonpunto e virgola semi-colonpunto esclamativo exclamation markpunto interrogativo question markdi punto in bianco suddenly, without warningessere sul punto di fare qualcosa be on the point of doing something, be about to do something* * *punto s.m.1 ( geometrico) point: punto cuspidale, cusp (o cuspidal point); punto di intersezione, intersection point; punto di tangenza, point of tangency; punto di biforcazione, bifurcation; punto di incontro, contact; punto isolato, acnode; punto medio, ( di un segmento) midpoint; punto limite, limit-point; punto di flesso, inflexion point; punto materiale, mass point // punti cardinali, cardinal points // punto morto, (mil.) dead angle, (mecc.) dead point; (fig.) deadlock: i negoziati sono a un punto morto, negotiations have reached a deadlock (o are deadlocked)2 ( segno grafico) full stop; (amer.) period: metti il punto, put the full stop; punto e a capo, full stop and new paragraph; punto interrogativo, esclamativo, question mark, exclamation mark; punto e virgola, semicolon; due punti, colon // per me tuo fratello è ancora un punto interrogativo, your brother is still an enigma to me3 ( macchiolina) dot, speck: la nave era un punto all'orizzonte, the ship was like a dot (o speck) on the horizon4 ( luogo determinato, posto) point; spot: punto di ritrovo, meeting point; punto di arrivo, point (o place) of arrival; punto di partenza, starting point (o point of departure); è il punto più bello della valle, it's the nicest spot in the valley // (comm.) punto di vendita, di consegna, point of sale, of delivery // (inform.): punto di implementazione, location; punto di ingresso, entry point; punto di interruzione, breakpoint; punto di salto, branchpoint; punto di riferimento, benchmark; punto di riversamento, di ripresa, ( IBM) di controllo, checkpoint; punto macchina, index point // (aer.): punto a terra, ground position; punto di non ritorno, equitime point; (fig.) point of no return; punto di riferimento al suolo, pinpoint // (edil.) punto d'appoggio, point of support // (fot.) punto di presa, camera station5 ( passo, argomento) passage; point; ( dettaglio) detail: è un punto che si presta a più interpretazioni, it's a passage that is open to various interpretations; su questo punto non sono d'accordo, I don't agree on this point; veniamo al punto, let's come to the point; non trascurare questo punto, don't overlook this detail; qui sta il punto, this is the point // punto per punto, ( nei dettagli) point by point (o in detail)6 ( momento, istante) moment, point: sei arrivato al punto giusto, you arrived at the right moment (o point); a un certo punto se ne è andato via, at a certain point he left; essere sul punto di andarsene, to be about to go (o to be on the point of going) // in punto di morte, at the point of death; arrivò alle 3 in punto, he arrived at three o'clock sharp7 ( livello, grado) point: punto di cottura, cooking point; punto di ebollizione, boiling point; (mecc.) punto di rottura, breaking point; punto critico, critical point; ho superato il punto di sopportazione, I've come to the end of my tether // (econ.): punto di pareggio, breakeven (point); punto di saturazione, saturation point // (chim., fis.): punto di accensione, fire (o ignition) point; punto di anilina, aniline point; punto di carica zero, zero point of charge; punto di condensazione, dew point; punto di equilibrio, balance point; punto di fusione, melting point; punto di intorbidimento, cloud point; punto di saturazione, saturation point; punto di viraggio, punto finale, end point; energia del punto zero, zero point energy9 ( unità di elemento di valutazione) point: l'euro ha guadagnato tre punti, the euro has gained three points; l'asso vale 10 punti, the ace is worth ten points (o scores ten); la squadra ha 30 punti in classifica, the team has 30 points on the table; come stiamo a punti?, what is the score? // punto di contingenza, point of the cost-of-living allowance // (fin.) punto dell'oro, bullion (o specie) point // dà dei punti a tutti, he's streets ahead of everyone else // vincere ai punti, to win on points // la sua buona volontà è un punto in suo favore, his goodwill is a point in his favour10 (mus.) dot11 ( al cucito e nella maglia) stitch; punto a coste, rib-stitch; punto a croce, cross-stitch; punto a giorno, hem-stitch; punto catenella, chain-stitch; punto dritto, a legaccio, plain-stitch; punto indietro, back-stitch; punto nascosto, blind-stitch; punto rammendo, darning-stitch; punto rovescio, back-stitch (o purl); punto smerlo, buttonhole stitch; punto raso, satin stitch; crescere, calare un punto, to add, to slip a stitch; lasciar cadere un punto, to drop a stitch; mettere su i punti, to cast on stitches // devo dare un punto al mio vestito, I must stitch up my dress // non sa dare neanche un punto, she cannot sew a stitch // un punto in tempo ne salva cento, (prov.) a stitch in time saves nine13 (tip.) point15 punto metallico, staple.◆ FRASEOLOGIA: di tutto punto, fully: lo trovai vestito di tutto punto, I found him fully dressed; a che punto è il tuo lavoro?, how far have you got with your work?; a che punto siamo?, where are we? (o where have we got to?); l'affare è a questo punto, the business has got to this point; al punto in cui stanno le cose..., as matters stand...; le cose sono a buon punto, things are going well; le cose sono al punto di prima, things stand as before; sono a buon punto, I have made good progress; fare il punto della situazione, to take stock of (o to weigh up) the situation // a tal punto che..., to the point that... // fino a un certo punto, to a certain extent // punto dolente, (fig.) sore spot (o point).punto agg. (region.): non... punto, not... any (o no); non ho punta voglia di uscire con te, I have no wish (o I haven't any wish) to go out with you◆ pron. (region.): non... punto, not... any (o none); ''Hai dei libri?'' ''Non ne ho punti'', ''Have you got any books?'' ''Not a one'' (o ''None at all'')◆ avv. non... punto, not... at all (o not at all): non l'ho visto punto, I haven't seen him at all; non sono punto soddisfatto di lui, I am not at all satisfied with him // né punto né poco, nothing at all; poco o punto, little or nothing (at all).* * *I ['punto]sostantivo maschile1) (luogo) point2) (situazione, momento) pointarrivare al punto in cui — to reach the point o stage where
essere sul punto di fare — to be on the point of doing o (just) about to do o close to doing
in punto di morte — at death's door, at one's last gasp
3) (livello)fino a che punto...? — to what extent...?
a un punto tale che, a tal punto che — to such a degree o an extent that, so much so that
fino a un certo punto — up to a point, to a certain extent o degree
4) (questione, argomento) pointnon è questo il punto — that's not the point o issue
5) (segno grafico) dotpunto com — inform. dot com
7) (punteggio) pointsegnare, perdere -i — to score, lose points
essere un punto a favore, a sfavore di qcn. — to be a point in sb.'s favour o a plus point for sb., to be a black mark against sb
8) (nella punteggiatura) full stop BE, period AE9) fis.punto di ebollizione, congelamento, fusione — boiling, freezing, melting point
10) tip. point11) (in un sistema di calcolo) point12) sart. stitchdare un punto a qcs. — to stitch up sth., to put a stitch in sth
13) med. chir. stitch14) in puntoalle 9 in punto — at 9 o'clock sharp o on the dot
15) a puntomettere a punto — to develop [sistema, metodo]; to adjust, to fine-tune [macchina, apparecchio]
messa a punto — (di sistema, metodo) development; (di macchina, apparecchio) fine tuning
16) di tutto punto•punto caldo — fig. hot o trouble spot
punto (e) a capo — full stop, new paragraph
essere di nuovo punto e a capo — fig. to be back at square one
punto cardinale — fis. geogr. compass o cardinal point
punto critico — critical o crisis point
punto debole — weak point o spot
punto dolente — sore point o spot
punto esclamativo — exclamation mark BE o point AE
punto fermo — fig. anchor
punto di forza — strong point, strength
punto di fuga — art. arch. vanishing point
punto G — anat. G spot
punto a giorno — sart. hemstitch
punto d'incontro — meeting point (anche fig.)
punto interrogativo — question mark, interrogation mark
punto d'intersezione — mat. point of intersection
punto metallico — (graffetta) staple
punto morto — tecn. dead centre
essere a un punto morto — fig. to be at (a) deadlock o standstill
punto nero — med. blackhead
tornare al punto di partenza — to come full circle, to go back to square one
punto (di) vendita — outlet, point of sale, sales point
••dare dei -i a qcn. — to knock spots off sb.
di punto in bianco — point-blank, out of the blue, all of a sudden
II ['punto]punto e basta! — that's (the end of) that! that's final! full stop! BE, period! AE
* * *punto1/'punto/ ⇒ 28sostantivo m.1 (luogo) point; nel punto in cui il sentiero si divide at the point where the path divides2 (situazione, momento) point; a quel punto mi sono arreso at that point I gave up; arrivare al punto in cui to reach the point o stage where; arrivare al punto di fare to go so far as to do; essere sul punto di fare to be on the point of doing o (just) about to do o close to doing; in punto di morte at death's door, at one's last gasp3 (livello) a che punto siamo? where are we? a che punto sei arrivato col lavoro? how far have you got with the work? fino a che punto...? to what extent...? non lo credevo stupido fino a questo punto I didn't think he was that stupid; al punto che to the extent that; a un punto tale che, a tal punto che to such a degree o an extent that, so much so that; fino a un certo punto up to a point, to a certain extent o degree; a un certo punto at one point; essere a buon punto (nel fare) to be partway through (doing)4 (questione, argomento) point; un punto fondamentale di un testo a basic point in a text; punto per punto point by point; venire al punto to get (straight) to the point; non è questo il punto that's not the point o issue5 (segno grafico) dot; le città sono indicate sulla cartina da un punto towns are marked on the map by a dot; punto com inform. dot com6 (figura appena visibile) un punto luminoso in lontananza a point of light in the distance; un punto all'orizzonte a speck on the horizon7 (punteggio) point; segnare, perdere -i to score, lose points; contare i -i to keep (the) score; vincere ai -i to win on points; essere un punto a favore, a sfavore di qcn. to be a point in sb.'s favour o a plus point for sb., to be a black mark against sb.9 fis. punto di ebollizione, congelamento, fusione boiling, freezing, melting point10 tip. point11 (in un sistema di calcolo) point; aumentare di 2 -i (percentuali) to rise by 2 points12 sart. stitch; dare un punto a qcs. to stitch up sth., to put a stitch in sth.13 med. chir. stitch; mi hanno dato sei -i (di sutura) I had six stitches15 a punto essere a punto to be in order; mettere a punto to develop [sistema, metodo]; to adjust, to fine-tune [macchina, apparecchio]; messa a punto(di sistema, metodo) development; (di macchina, apparecchio) fine tuning16 di tutto punto era bardato di tutto punto he was rigged out in his best clothesdare dei -i a qcn. to knock spots off sb.; di punto in bianco point-blank, out of the blue, all of a sudden; abbiamo molti -i in comune we have a lot in common; fare il punto della situazione to take stock of the situation; punto e basta! that's (the end of) that! that's final! full stop! BE, period! AE\punto caldo fig. hot o trouble spot; punto (e) a capo full stop, new paragraph; essere di nuovo punto e a capo fig. to be back at square one; punto cardinale fis. geogr. compass o cardinal point; punto di contatto point of contact; punto critico critical o crisis point; punto (a) croce cross-stitch; punto debole weak point o spot; punto dolente sore point o spot; punto erba stem stitch; punto esclamativo exclamation mark BE o point AE; punto fermo fig. anchor; punto di forza strong point, strength; punto di fuga art. arch. vanishing point; punto G anat. G spot; punto a giorno sart. hemstitch; punto d'incontro meeting point (anche fig.); punto interrogativo question mark, interrogation mark; punto d'intersezione mat. point of intersection; punto metallico (graffetta) staple; punto morto tecn. dead centre; essere a un punto morto fig. to be at (a) deadlock o standstill; punto nero med. blackhead; punto di non ritorno point of no return; punto d'onore point of honour; punto panoramico viewpoint; punto di partenza starting point (anche fig.); tornare al punto di partenza to come full circle, to go back to square one; punto di ritrovo meeting-place; punto di rottura breaking point; punto (di) vendita outlet, point of sale, sales point; punto e virgola semicolon; punto di vista point of view; da un punto di vista economico from an economic point of view.————————punto2/'punto/ -
2 have
I 1. [ forma debole həv] [ forma forte hæv]1) (possess) avere2) (consume)3) (want) volere, prendere4) (receive, get) ricevere [letter, parcel]; avere, ricevere [news, information]to let sb. have sth. — lasciare prendere qcs. a qcn
5) (hold) fare [party, meeting, enquiry]; organizzare [competition, exhibition]; avere [ conversation]6) (exert, exhibit) avere [effect, courage, courtesy] ( to do di fare); avere, esercitare [ influence]7) (spend) passare, trascorrereto have sth. to do — avere qcs. da fare
9) (undergo, suffer) avereto have (the) flu, a heart attack — avere l'influenza, un infarto
to have sth. done — far fare qcs.
to have sb. do sth. — fare fare qcs. a qcn.
12) (allow) permettere, tollerare13) (physically hold) tenere14) (give birth to) [woman, animal] avere [child, young]over here, we have a painting by Picasso — qui abbiamo un dipinto di Picasso
2.what we have here is a group of extremists — quello con cui abbiamo a che fare è un gruppo di estremisti
1) (must)2) (need to)you don't have to o you haven't got to leave so early non è necessario che te ne vada così presto; did you have to spend so much money? era necessario che spendessi così tanti soldi? something had to be done — si doveva fare qualcosa
3.this has (got) to be the most difficult decision I've ever made — questa è proprio la decisione più difficile che abbia mai preso
1) avere; (with movement and reflexive verbs) essere2) (in tag questions etc.)you've seen the film, haven't you? — hai visto il film, vero?
you haven't seen the film, have you? — non hai visto il film, vero?
you haven't seen my bag, have you? — hai per caso visto la mia borsa?
"he's already left" - "has he indeed!" — "è già andato via" - "davvero?"
"you've never met him" - "yes I have!" — "non l'hai mai incontrato" - "invece sì!"
having finished his breakfast, he went out — finito di fare colazione, uscì
4) (because)having already won twice, he's a favourite — dato che ha già vinto due volte, è uno dei favoriti
•- have in- have on- have up••to have done with sth. — finire (di usare qcs.) o finire con qcs.
this TV has had it — colloq. questa televisione ha fatto il suo tempo
when your father finds out, you've had it! — colloq. quando tuo padre lo viene a sapere, sei rovinato!
I can't do any more, I've had it! — colloq. non ne posso più, sono stremato!
I've had it (up to here) — colloq. non ne posso più
to have it in for sb. — colloq. avercela (a morte) con qcn.
she has, doesn't have it in her to do — sarebbe, non sarebbe mai capace di fare
II [hæv]you have o you've got me there! mi hai colto in fallo! o toccato! and the ayes, noes have it i sì, i no sono in maggioranza; and what have you...eccetera,...e quant'altro; there are no houses to be had — non c'è modo di trovare delle case
* * *(to have or keep (something) in case or until it is needed: If you go to America please keep some money in reserve for your fare home.) tenere di riserva* * *have /hæv/n. (fam.)1 (antiq. GB) imbroglio; inganno; fregatura (fam.)2 (solo al pl.) abbienti; benestanti; ricchi; nazioni ricche: the haves and have-nots, i ricchi e i poveri; chi ha e chi non ha.♦ (to) have /hæv, həv/1 (ausiliare, nella voce attiva) avere; essere: «Have you seen it?» «Yes, I have [No, I haven't]», «l'hai visto?» «sì, l'ho visto [no, non l'ho visto]»; He had come back, era ritornato2 avere; possedere; ottenere; ricevere: The school has a large playing field, la scuola ha un grande campo di gioco; He has a moustache, ha i baffi; I've got ( USA: I have) a cold, ho il raffreddore; We had fine weather all the time, abbiamo sempre avuto tempo buono; He hasn't (fam.: hasn't got; USA: doesn't have) much time, non ha molto tempo; How much money have you got? ( USA: do you have)?, quanto denaro (fam.: quanti soldi) hai?; I had some work to do, avevo un po' di lavoro da fare; I've always wanted to have a sports car, ho sempre desiderato (avere) un'auto sportiva3 prendere; possedere: Have some more biscuits!, prendi degli altri biscotti!; Have a drink!, prendi qualcosa da bere!; bevi qualcosa!4 (in varie loc.) fare: to have a walk [a ride, a swim, a bath, a dance, a dream, a game], fare una passeggiata [una cavalcata, una nuotata, un bagno, un ballo, un sogno, una partita]; They're having a meeting, stanno facendo una riunione5 (causativo: seguito da un p. p.) fare (più un inf.): I must have my hair cut, devo farmi tagliare i capelli; I had my watch repaired, feci riparare l'orologio6 (causativo: seguito da un inf. o da una forma in - ing) fare (più un inf.): I'll have the plumber do it, lo farò fare all'idraulico; He had us all laughing at his story, con la sua storiella ci fece ridere tutti7 (seguito da un p. p.) subire ( l'azione specificata): Frank has had his leg broken, Frank si è rotto la gamba (o ha subito la rottura della gamba); I had my car stolen yesterday, ieri mi hanno rubato la macchina8 ( anche to have got) avere da; dovere; toccare (impers.): I have to go to the dentist's, devo andare dal dentista; DIALOGO → - Going for an interview- What time do you have to be there?, a che ora devi essere là?; We only fight because we have to, ci battiamo soltanto perché dobbiamo farlo (o perché è nostro dovere); DIALOGO → - At the station 2- Do the children have to pay?, i bambini pagano il biglietto?9 permettere; sopportare; tollerare: I won't have bad behaviour, non permetto che ci si comporti male; I won't have it!, non lo permetto!; non l'accetto!11 avere alla propria mercé; tenere in pugno (fig.); avere la meglio su (q.)12 (fam., di solito al passivo) fregare (fam.); imbrogliare; ingannare; farla a (q.): I have been had!, mi sono fatto fregare! (o me l'hanno fatta!)13 (seguito da it) dire; scrivere; asserire; sostenere: The newspapers have it that the firm will go bankrupt, i giornali scrivono che la ditta è sull'orlo del fallimento14 (form.) conoscere; sapere; parlare: He has little [no] English, conosce poco [non sa (o non parla)] l'inglese15 prendere; mangiare; bere; fumare: I had a sandwich for lunch, ho mangiato un panino a pranzo; DIALOGO → - Ordering drinks- What are you having?, che prendi?; DIALOGO → - Ordering drinks- I'll have a pint of cider, prendo un bicchiere di sidro16 (fam.) corrompere; comprare (fam.)17 (idiom.; per es., in:) Let me have a try [a look]!, fammi provare [dare un'occhiata]!; I offered it to him, but he wouldn't have it, glielo offrii, ma lo rifiutò; Have your homework done in an hour!, che i tuoi compiti siano finiti entro un'ora!● (leg.) to have and to hold, avere (o possedere) a pieno titolo ( di proprietà) □ ( slang) to have a ball, divertirsi un sacco □ to have charge of sb., avere la responsabilità (o essere responsabile) di q. □ to have charge of st., avere in custodia qc.; custodire qc. □ to have to do with, avere (a) che fare (o a che vedere) con: I don't want to have anything to do with him, non voglio aver nulla a che fare con lui □ to have done with, cessare, smettere (di fare qc.); averla fatta finita con, non volerne più sapere di □ to have done with it, finirla, farla finita; non pensarci più □ (fam. GB) to have a down on sb., avercela con q. □ to have fun, divertirsi; spassarsela □ to have a good time, divertirsi, spassarsela: DIALOGO → - At the airport- Have a good time, divertiti; divertitevi □ (fam.) to have had it, essere finito (o rovinato, spacciato); ( di persona o macchina) non farcela più; ( di un indumento, ecc.) essere logoro (o consumato, consunto) □ (fam.) to have had one too many, avere alzato un po' il gomito (fig.); essere un po' brillo □ ( in una votazione) to have it, vincere, avere la maggioranza: The ayes have it, vincono i sì □ ( slang volg. GB) to have it away with sb. = to have it off with sb. ► have off □ to have ( got) it coming, tirarsi addosso un guaio; meritare ( una punizione, ecc.); meritarsela, cercarsela (fam.): He had it coming!, se l'è meritata (o cercata)! □ to have it one's ( own) way, fare a modo proprio; averla vinta: In the end she had it her way, alla fine l'ha avuta vinta lei □ (fam.) Have it your (own) way!, va bene, facciamo come vuoi tu!; hai vinto! □ to have sex with sb., fare sesso (o andare a letto) con q. □ to have st. [sb.] ( all) to oneself, avere qc. [q.] tutto per sé □ to let sb. have st., fare avere (o dare) qc. a q.: Let me have your lighter, dammi il tuo accendino □ (fam.) to let sb. have it, dire a q. il fatto suo; non mandargliela a dire; ( anche) attaccare, dare addosso a q.: Let him have it!, (dagli) addosso! □ (fam.) I have it! (o I've got it), ci sono!; ho capito!; ( anche) lo so!, so rispondere! □ (fam. USA) to have what it takes, avere quel che ci vuole; avere le qualità necessarie (per fare qc.) □ You have me (o you've got me) there!, mi hai preso in castagna!; un punto a tuo favore!; ( anche) non lo so (proprio)!; mi arrendo! (fig.) □ to be not having any, non accettare; non volerne sapere: I tried to convince her, but she wasn't having any, tentai di convincerla, ma lei non voleva nemmeno sentirne parlare □ I [you] had better, farei [faresti] meglio; sarebbe meglio che io [tu] (più inf. senza to): You'd better go home at once, faresti meglio ad andare subito a casa NOTA D'USO: - had better- □ ( slang USA) Have a good (o a nice) one!, ciao!; stammi bene! □ (fam. scherz.) Have a heart!, abbi pietà!; sii buono!NOTA D'USO: - to have- NOTA D'USO: - to have breakfast (lunch, dinner, ecc.)-* * *I 1. [ forma debole həv] [ forma forte hæv]1) (possess) avere2) (consume)3) (want) volere, prendere4) (receive, get) ricevere [letter, parcel]; avere, ricevere [news, information]to let sb. have sth. — lasciare prendere qcs. a qcn
5) (hold) fare [party, meeting, enquiry]; organizzare [competition, exhibition]; avere [ conversation]6) (exert, exhibit) avere [effect, courage, courtesy] ( to do di fare); avere, esercitare [ influence]7) (spend) passare, trascorrereto have sth. to do — avere qcs. da fare
9) (undergo, suffer) avereto have (the) flu, a heart attack — avere l'influenza, un infarto
to have sth. done — far fare qcs.
to have sb. do sth. — fare fare qcs. a qcn.
12) (allow) permettere, tollerare13) (physically hold) tenere14) (give birth to) [woman, animal] avere [child, young]over here, we have a painting by Picasso — qui abbiamo un dipinto di Picasso
2.what we have here is a group of extremists — quello con cui abbiamo a che fare è un gruppo di estremisti
1) (must)2) (need to)you don't have to o you haven't got to leave so early non è necessario che te ne vada così presto; did you have to spend so much money? era necessario che spendessi così tanti soldi? something had to be done — si doveva fare qualcosa
3.this has (got) to be the most difficult decision I've ever made — questa è proprio la decisione più difficile che abbia mai preso
1) avere; (with movement and reflexive verbs) essere2) (in tag questions etc.)you've seen the film, haven't you? — hai visto il film, vero?
you haven't seen the film, have you? — non hai visto il film, vero?
you haven't seen my bag, have you? — hai per caso visto la mia borsa?
"he's already left" - "has he indeed!" — "è già andato via" - "davvero?"
"you've never met him" - "yes I have!" — "non l'hai mai incontrato" - "invece sì!"
having finished his breakfast, he went out — finito di fare colazione, uscì
4) (because)having already won twice, he's a favourite — dato che ha già vinto due volte, è uno dei favoriti
•- have in- have on- have up••to have done with sth. — finire (di usare qcs.) o finire con qcs.
this TV has had it — colloq. questa televisione ha fatto il suo tempo
when your father finds out, you've had it! — colloq. quando tuo padre lo viene a sapere, sei rovinato!
I can't do any more, I've had it! — colloq. non ne posso più, sono stremato!
I've had it (up to here) — colloq. non ne posso più
to have it in for sb. — colloq. avercela (a morte) con qcn.
she has, doesn't have it in her to do — sarebbe, non sarebbe mai capace di fare
II [hæv]you have o you've got me there! mi hai colto in fallo! o toccato! and the ayes, noes have it i sì, i no sono in maggioranza; and what have you...eccetera,...e quant'altro; there are no houses to be had — non c'è modo di trovare delle case
-
3 mai
never( qualche volta) evermai più never againpiù che mai more than evernon accetterò mai e poi mai I will never agree, neverchi ha mai detto che... who said that...come mai? how come?se mai if evermeglio tardi che mai better late than neverdove/perché mai? where/why on earth?* * *mai avv.1 (nel significato di non mai) never; (in presenza di altra negazione e nel significato di talvolta) ever: non bevo mai alcolici, I never drink alcohol; non telefona mai a quest'ora, he never phones at this time; non ho mai visto un film così divertente, I've never seen such an enjoyable film; non dimenticherò mai l'espressione del suo viso, I'll never forget the expression on her face; non sono mai stato a Mosca, I've never been to Moscow; non me ne avevi mai parlato, you'd never told me about it; non sarebbe mai capace di fingere, he would never be capable of pretending; non si sarebbero mai sognati di farlo, they would never have dreamt of doing it; non si ripeterà mai un'occasione simile, there will never be a chance like this again; nessuno l'ha mai visto né sentito, no one has ever seen or heard of him; senza averci mai pensato, without ever thinking about it; niente avrebbe mai potuto turbarlo a tal punto, nothing could ever have disturbed him so much // mai più, never again: non accadrà mai più, it will never happen again; adesso o mai più, (it's) now or never // mai più!, mai e poi mai!, never! (o not on your life!) // quasi mai, hardly ever (o almost never): non viene quasi mai, he hardly ever comes // non sia mai detto che..., never let it be said that... // non si sa mai, you never can tell // mai dire mai, never say never2 (in frasi interrogative o ipotetiche) ever: ''Sei mai stato in Giappone?'' ''No, mai'', ''Have you ever been to Japan?'' ''No, never''; avete mai sentito parlare di lui?, have you ever heard talk of him?; potrai mai perdonarmi?, will you ever be able to forgive me?; non so se sia mai stato all'estero, I don't know whether he's ever been abroad (or not); ti sei mai chiesto il perché di un simile gesto?, have you ever wondered why he did that? // dove mai?, where on earth?; wherever?: mi domando dove mai può essersi cacciato, I wonder where on earth he can have got to // quando mai?, whenever?: quando mai hai sentito questo?, whenever did you hear that? // chi mai?, who on earth?; whoever?: chi mai poteva essere?, whoever could it have been? // che (cosa) mai...?, what on earth...? whatever...?: che mai hai combinato?, what on earth have you been up to?; non so proprio che cosa mai vi siate messi in testa, I don't know what on earth got into your heads; che mai stai cercando di dirmi?, whatever are you trying to tell me? // come mai?, why?; how come?; whyever?: come mai non va l'ascensore?, how come the lift isn't working?; come mai non ci avete pensato prima?, whyever didn't you think of it before? // se mai, caso mai, if (o if ever o in case): se mai dovessi incontrarla..., if ever you should meet her...; se avessi mai pensato..., if I had ever thought...; caso mai tornasse, mandalo da me, if he happens to come back, send him to me; prendete l'ombrello, caso mai piovesse, take an umbrella in case it rains3 (in frasi comparative) ever: più che mai, more than ever: sono più che mai convinto di aver agito bene, I'm more than ever convinced I did the right thing; sono più felice che mai, I'm happier than I've ever been (o I've never been so happy); sono stati più gentili che mai, they were ever so kind; nonostante le cure, deperiva più che mai, in spite of the treatment he got weaker and weaker // meno che mai, less than ever // peggio che mai, worse than ever // è quanto mai testardo, è (un) testardo che mai (o quant'altri mai), he's terribly stubborn // ho una sete che mai, I'm terribly thirsty // meglio tardi che mai!, (prov.) better late than never!4 (in frasi ellittiche o con uso enfatico): io ho scritto tante volte, loro mai, I've written many times, but they never have; lui lo farebbe, io mai, he'd do it, but I never would; tutto, ma questo mai, anything but this; mai un momento di pace, never a moment's peace; mai che dicesse la verità!, I wish he'd tell the truth for once!* * *[mai]1) (in nessun momento) neverpiù, meno che mai — more, less than ever before
••••Note:Mai si traduce in inglese con never oppure ever. Never concentra in sé il valore negativo della frase, e quindi esclude l'uso di altri negativi (diversamente dal mai italiano): non ho mai visto nessuno mangiare così! = I never saw anybody eating like that! Never precede il verbo quando questo è in forma semplice (tranne to be) e segue il primo ausiliare quando il verbo è composto: non mangia mai abbastanza = she never eats enough; non è mai stanca = she is never tired; non l'ho mai incontrato = I've never met him. Ever si usa in quattro casi: al posto di never, quando si deve o si vuole mantenere un'altra forma negativa nella frase (non farlo mai più! = don't you ever do that again!); quando mai ha valore positivo e significa qualche volta (sei mai stato a Londra? = have you ever been to London?); dopo un comparativo ( più magro che mai = thinner than ever); infine, nel linguaggio parlato, ever segue e rafforza never (non glielo dirò mai! = I'll never ever tell him!)* * *mai/mai/Mai si traduce in inglese con never oppure ever. Never concentra in sé il valore negativo della frase, e quindi esclude l'uso di altri negativi (diversamente dal mai italiano): non ho mai visto nessuno mangiare così! = I never saw anybody eating like that! Never precede il verbo quando questo è in forma semplice (tranne to be) e segue il primo ausiliare quando il verbo è composto: non mangia mai abbastanza = she never eats enough; non è mai stanca = she is never tired; non l'ho mai incontrato = I've never met him. Ever si usa in quattro casi: al posto di never, quando si deve o si vuole mantenere un'altra forma negativa nella frase (non farlo mai più! = don't you ever do that again!); quando mai ha valore positivo e significa qualche volta (sei mai stato a Londra? = have you ever been to London?); dopo un comparativo ( più magro che mai = thinner than ever); infine, nel linguaggio parlato, ever segue e rafforza never (non glielo dirò mai! = I'll never ever tell him!).1 (in nessun momento) never; non scrive mai he never writes; non scrive mai? doesn't he ever write? mai più! never again! non farlo mai più! don't (you) ever do that again! mai e poi mai! never ever! ora o mai più it's now or never2 (qualche volta) hai mai visto una cosa del genere? have you ever seen something like that?3 (come rafforzativo) dove mai sarà andato? wherever did he go? perché mai l'hai fatto? why ever did you do that? chi l'avrebbe mai detto! who ever would have guessed? who would have thought it!4 (in espressioni comparative) più bella che mai more beautiful than ever; più, meno che mai more, less than ever before; è felice come (non) mai she has never been happiermeglio tardi che mai better late than never; non si sa mai! you never know! you never can tell! -
4 niente
1. pron m nothing2. adv nothingnon ho niente I don't have anything, I have nothinglo fai tu? - niente affatto! are you going to do it? - no, I am not!tu hai detto che... - niente affatto! you said that... - no, I did not!non ho per niente fame I'm not at all hungrynon ho capito per niente I didn't understand a thingniente (di) meno no lessnientedimeno! that's incredible! you don't say!* * *niente pron.indef.1 nothing; ( in presenza di altra negazione) anything: niente si oppone alla realizzazione del progetto, nothing prevents the project being carried out; non ne sapevo niente, I knew nothing about it; ''Che cosa fai?'' ''Niente'', ''What are you doing?'' ''Nothing''; sta tutto il giorno senza far niente, he spends the whole day doing nothing; ancora non avete visto niente, you haven't seen anything yet; non bisogna dirgli niente, he mustn't be told anything; non dà mai niente a nessuno, he never gives anyone anything; so poco o niente di lui, I know next to nothing about him // nient'altro, nothing else, ( in presenza di altra negazione) anything else: ''Non disse altro?'' ''Nient'altro'', ''Didn't he say anything else?'' ''No, he didn't'' (o ''No, nothing else'') // nient'altro che, nothing but: non è nient'altro che un bugiardo, he's nothing but a liar // niente di nuovo, d'interessante, nothing new, interesting; non c'è niente di meglio, there's nothing better (o there isn't anything better); non ha fatto niente di male, he hasn't done anything wrong // non sa niente di niente, he knows nothing whatever (o nothing at all o nothing about nothing) // per niente, ( senza nessun compenso o risultato) for nothing, ( senza motivo, inutilmente) about nothing: lavorare per niente, to work for nothing, arrabbiarsi, lamentarsi per niente, to get angry, to complain about nothing; ho parlato per niente, I wasted my breath; nessuno fa niente per niente, nobody does anything for nothing // di niente, ( in risposta a un ringraziamento) don't mention it (o you're welcome): ''Grazie mille!'' ''Di niente, si figuri!'', ''Thank you so much'' ''Don't mention it'' // non serve a niente, it's no use // non cambia niente, ( fa lo stesso) it makes no odds // non fa niente, ( non importa) it doesn't matter (o it's all right) // non posso farci niente, I can't do anything about it (o I can do nothing about it) // non aver niente a che fare con qlcu., to have nothing to do with s.o.2 ( qualche cosa) anything (spec. in frasi interr. o dubitative): c'è niente per me?, is (n't) there anything for me?; ( c'è) niente di nuovo?, is there any news?; ti serve niente?, do you need anything?; hai mai visto niente di così divertente?, have you ever seen anything so amusing? (o as amusing as that?); hai niente in contrario?, have you any objections?; avete nient'altro da dirmi?, have you anything else to tell (o to say to) me?; dimmi se c'è niente che possa fare per te, tell me if there's anything I can do for you // non per niente..., ( non senza ragione) not for nothing...3 ( poca cosa) nothing: il danno alla mia auto era niente in confronto al suo, the damage to my car was nothing in comparison with the damage to his; ti pare niente?, do you think it's nothing?; l'ho pagato niente rispetto al suo valore, I paid nothing in comparison with what it's worth // come se niente fosse, as if nothing were the matter // da niente, ( da poco) nothing much; è una ferita da niente, it's only a scratch; una cosa da niente, a trifle // un buono a niente, a good-for-nothing◆ s.m. ( nessuna cosa) nothing: è un niente, he is a mere nothing; l'ho avuto per (un) niente, I got it for next to nothing; tutto finì in (un) niente, it all came to nothing (o everything fell through); offendersi per un niente, to take offence at the slightest thing; la conferenza finì in un niente di fatto, nothing concrete came out of the meeting // l'ha fatto in meno di un niente, he did it in next to no time // ridursi un niente, ( logorarsi) to wear oneself out; ridursi al niente, ( perdere tutto) to lose everything // venire dal niente, to come up from nothing // non ha ottenuto un bel niente, he got nothing at all◆ avv.1 ( punto, affatto) not at all: niente male!, not bad at all!; non ho niente voglia di lavorare oggi, (fam.) I don't feel like working today at all; non gli assomiglia per niente, it's nothing like him at all; non m'importa niente, it doesn't matter to me at all (o I don't care at all) // speravo di convincerlo, ma lui niente, I was hoping to persuade him, but he wasn't having any // niente affatto, not at all: ''Ti sei convinto?'' ''Niente affatto!'', ''Are you convinced?'' ''Not at all''2 ( molto poco): non ci metto niente a farlo, it won't take me a minute to do it // se niente niente gli si dà retta..., (fam.) once you start listening to him...◆ agg.invar. (fam.) ( nessuno) no; ( in presenza di altra negazione) any: niente pasta per me, grazie, sono a dieta, no pasta for me, thank you, I'm on a diet; non ha avuto niente rispetto per quel pover'uomo!, he didn't show that poor man any consideration // In espressioni ellittiche: niente paura!, not to worry!; niente scherzi, mi raccomando!, no tricks, please!; niente scuse!, no apologies!* * *['njɛnte]1. pron(nessuna cosa) nothing, (qualcosa) anythingnon... niente — nothing, espressione negativa + anything
non ho visto niente — I saw nothing, I didn't see anything
hai bisogno di o ti serve niente? — do you need anything?
niente di grave/nuovo — nothing serious/new
un uomo da niente — a nobody, a nonentity
ha niente in contrario se...? — would you object if...?
niente al mondo — nothing on earth o in the world
ho parlato per niente — I spoke to no purpose, I wasted my breath
nient'altro? — (in negozio) is that all?, will that be all?
nient'altro che — nothing but, (solamente) just, only
grazie. - di niente — thanks. - you're welcome
2. agg3. sm4. avvnon... niente — not... at allnon... per niente — (affatto) not...at all
niente affatto — not at all, not in the least
* * *['njɛnte] 1.1) (nessuna cosa) nothing; (in presenza di altra negazione) anythingho deciso di non dire niente — I decided to say nothing o not to say anything
non c'è più niente da fare — (come lavoro) there's nothing left o else to do; (non c'è speranza) there's nothing more that can be done
non è niente — (non mi sono fatto male) it's nothing
non serve a niente piangere — it's no good o use crying
non avere niente a che fare con qcn. — to have nothing to do with sb.
niente di meno, di più — nothing less, nothing more (di, che than)
niente di meglio, di peggio — nothing better, worse (di, che than)
non ci vedo niente di male — I see no harm in it, there's nothing wrong with it
"grazie" - "di niente" — "thank you" - "you're welcome", "not at all", "don't mention it"
non fa niente — (non importa) never mind, it doesn't mind
come niente (fosse) o come se niente fosse as if nothing had happened; fare finta di niente to pretend nothing has happened; nient'altro — nothing else o more
2) (qualcosa) anything3) da nientenon per niente sono italiano — I'm not Italian for nothing; (gratis) for nothing, for free
nessuno fa niente per niente — you get nothing for nothing; (affatto) at all
la cosa non mi riguarda per niente — that doesn't concern me at all o in any way
2.per niente al mondo — not for love nor for money, for anything
3.non ho niente fame — colloq. I'm not at all hungry
sostantivo maschile nothing4.è venuto su dal niente — fig. he is a self-made man
niente affatto — not at all, not in the least
niente male — not half bad, not bad at all
tutti lo chiamano, ma lui niente! — everybody calls him, but he won't listen
3) niente niente colloq.* * *niente/'njεnte/Niente in italiano, e i suoi equivalenti inglesi, possono essere usati come pronomi e aggettivi, meno spesso come sostantivi e avverbi. - Il pronome niente si traduce solitamente con nothing: non ne sapevo niente = I knew nothing about it; tuttavia, si usano anything se c'è già un'altra negazione ( non mi hanno mai detto niente = I was never told anything about it) o in frase interrogativa dove niente ha in realtà valore positivo (hai visto niente? = hai visto qualcosa? = have you seen anything?). - Come aggettivo, niente si rende con no (niente imbrogli! = no cheating!), e con any in una frase già negativa o in frase interrogativa dove niente ha in realtà valore positivo (niente soldi nel portafoglio? = dei soldi nel portafoglio? = any money in your wallet?). - Per gli altri usi di niente, si veda la voce qui sotto. Si veda anche la voce nulla.1 (nessuna cosa) nothing; (in presenza di altra negazione) anything; niente è impossibile nothing is impossible; non sento niente I can't hear anything; ho deciso di non dire niente I decided to say nothing o not to say anything; non c'è più niente there is nothing left; non c'è più niente da fare (come lavoro) there's nothing left o else to do; (non c'è speranza) there's nothing more that can be done; non è niente (non mi sono fatto male) it's nothing; non possiamo farci niente we can do nothing (about it); non se ne fa niente it's all off; e questo è ancora niente! you haven't seen anything yet! non serve a niente piangere it's no good o use crying; non avere niente a che fare con qcn. to have nothing to do with sb.; niente da fare! no go! nothing doing! non ha niente di sua sorella she's nothing like her sister; niente di meno, di più nothing less, nothing more (di, che than); niente di meglio, di peggio nothing better, worse (di, che than); niente di nuovo nothing new; non ci vedo niente di male I see no harm in it, there's nothing wrong with it; "grazie" - "di niente" "thank you" - "you're welcome", "not at all", "don't mention it"; non fa niente (non importa) never mind, it doesn't mind; niente di niente absolutely nothing; come niente (fosse) o come se niente fosse as if nothing had happened; fare finta di niente to pretend nothing has happened; nient'altro nothing else o more2 (qualcosa) anything; ti serve niente? do you need anything?4 per niente (inutilmente) tanta fatica per niente all that trouble for nothing; fare un sacco di storie per niente to make a big fuss about nothing; non per niente sono italiano I'm not Italian for nothing; (gratis) for nothing, for free; nessuno fa niente per niente you get nothing for nothing; (affatto) at all; non è per niente sicuro it is by no means certain; non assomiglia per niente a suo padre he is nothing like his father; la cosa non mi riguarda per niente that doesn't concern me at all o in any way; non mi preoccupa per niente it doesn't bother me in the least; per niente al mondo not for love nor for money, for anything; per niente! not at all!(nessuno) no; (in presenza di altra negazione) any; niente alcolici no alcoholic drinks; niente paura! never fear! have no fear! non ho niente fame colloq. I'm not at all hungryIII sostantivo m.nothing; un niente lo irrita the slighest thing annoys him; non vedo un bel niente I can't see a damned thing; in un niente in no time at all; è venuto su dal niente fig. he is a self-made manIV avverbio1 (neanche un poco) non m'importa niente I don't care at all; non ci metto niente a farlo I'll do it in no time; niente affatto not at all, not in the least; non ero niente affatto contento I was none too happy; non vale niente it's worth nothing; niente male not half bad, not bad at all; non eri niente male you weren't too bad at all2 (in espressioni ellittiche) tutti lo chiamano, ma lui niente! everybody calls him, but he won't listen -
5 vedere
vedére* 1. vt 1) видеть lieto di vederti (in ottima salute) -- рад тебя видеть (в добром здравии), рад видеть (, что ты здоров) vedere chiaro -- видеть ясно( тж перен) vedere bene fig -- видеть в благоприятном свете vedere nero fig -- видеть в черном свете non l'ho visto mai in vita mia -- я в жизни его не видел far vedere -- показывать fammivedere -- дай-ка мне посмотреть; покажи-ка мне farsi vedere -- показываться lasciati vedere domani fig -- приходи завтра ve la farò vedere io! fig -- я вам покажу! (угроза) non dare a vedere che... fig -- и виду не показывать; что... stare a vedere -- смотреть (спектакль и т. п.); наблюдать staremo a vedere!, vediamo!, (la) vedremo! -- посмотрим! stai a vedere che... -- вот увидишь (что)... guarda un po' chi si vede! -- ба! кого я вижу! (se) vedesse! -- если бы вы видели!, это что-то поразительное! vedrà di che sono capace! -- увидите, на что я способен!, вы еще меня не знаете! (ci) vede doppio -- у него в глазах двоится (о пьяном человеке) non ci si vede da qui a lì -- ничего не видать отселе и доселе (прост) non ci si vede affatto, non ci si vede punto tosc, non ci si vede un briciolo fam -- ничего <ни зги> не видно arrivai che non ci si vedeva più -- я пришел, когда было уже темно guardare e non vedere -- глядеть <смотреть> и не видеть ho una fame che non ci vedo -- смерть как есть хочется (разг) vedi... -- видишь ли... vedete (un poco)... -- видите ли... ci vorrei vedere voi -- хотел бы я видеть вас на моем месте resta a vedere... -- остается ждать...; посмотрим... 2) смотреть, глядеть, рассматривать; осматривать vedere col microscopio -- рассматривать в микроскоп questo (poi) Х da vedere -- это надо еще посмотреть bisogna vedere se lo dice sul serio -- надо узнать, говорит ли он это серьезно 3) видеть, понимать; находить, считать vedo bene che... -- я хорошо понимаю, что... volete vedere di sì? -- хотите убедиться? se non ci credete, andate a vedere -- если не верите, смотрите сами vedete voi che cosa si deve fare -- решайте сами, как поступить vedere conveniente -- считать подходящим non vedo come sia possibile -- не представляю себе, как это (можно) сделать secondo la maniera di vedere -- как на это посмотреть ciascuno vede a modo proprio, ciascuno ha il proprio modo di vedere -- каждый судит по-своему, у каждого свое мнение la vedo diversamente -- я смотрю на это иначе io la faccenda la vedo male -- я не верю в благополучный исход дела si vede! -- ясно!, понятно! lo vedrebbe un cieco!, si vede ad occhi chiusi! fig -- яснее ясного! negli affari ci vede poco -- в делах он мало смыслит 4) видеть, испытать, пережить vedere la morte vicina -- смотреть смерти в глаза 5) видеться, встречаться; бывать, посещать andare a vedere qd -- съездить к кому-л, повидать кого-л 6) иметь отношение che ci hai a vedere? -- какое тебе дело?, ты-то тут при чем? io non ci ho a che vedere -- я не имею к этому никакого отношения 7) стараться vedrò di accontentarlo -- я постараюсь выполнить его просьбу vedere volentieri qc -- делать что-л с удовольствием 2. часто употр субстантивированно: 1) зрение 2) вид bel vedere v. belvedere 3) мнение, суждение a mio vedere -- на мой взгляд, по-моему al primo vedere -- на первый взгляд dal vedere al non vedere -- в один миг, молниеносно vedersela tra... -- сговориться vedetevela voi! -- разбирайтесь сами!, дело ваше! ci siam visti! fam -- пиши пропало! vederne di tutti i colori fam -- ~ пройти огонь, воду и медные трубы né visto né conosciuto fam -- ни слуху, ни духу; шито-крыто chi l'ha visto, l'ha visto!, chi s'è visto s'è visto fam -- ~ только его и видели, его и след простыл; ищи свищи! non la può vedere la roba fam -- на нем все так и горит quanto più si vede, (e) meno si crede prov -- чем больше видишь, тем меньше веришь vedere e non toccare Х cosa da imparare prov -- мука видеть, да не тронуть; трудно удержаться от искушения vedere Х facile, e il prevedere Х difficile prov -- легко видеть, трудно предвидеть vedérsi 1) встречаться, видеться ci vediamo di rado -- мы редко встречаемся <видимся> ciao, ci vediamo! -- пока!, до встречи! 2) смотреться (в зеркало); видеть себя, смотреть на себя 3) чувствовать себя; понимать, сознавать mi vidi perduto -- я почувствовал, что пропал in quel momento mi vidi morto -- в тот миг я чувствовал, что мне конец in questa compagnia non mi ci posso vedere -- я не выношу этой компании non mi ci vedo a farlo -- я не чувствую себя в силах сделать это si vide obbligato a rispondere ему пришлось <он был вынужден> ответить -
6 vedere
vedére* 1. vt 1) видеть lieto di vederti (in ottima salute) — рад тебя видеть (в добром здравии), рад видеть (, что ты здоров) vedere chiaro — видеть ясно (тж перен) vedere bene [male] fig — видеть в благоприятном [в мрачном] свете vedere nero [rosa] fig — видеть в чёрном [в розовом] свете non l'ho visto mai in vita mia — я в жизни его не видел far vedere — показывать fammivedere — дай-ка мне посмотреть; покажи-ка мне farsivedere — показываться lasciativedere domani fig — приходи завтра ve la farò vedere io! fig — я вам покажу! ( угроза) non dare a vedere che … fig — и виду не показывать; что … stare a vedere — смотреть (спектакль и т. п.); наблюдать staremo a vedere!, vediamo!, (la) vedremo! — посмотрим! stai a vedere che … — вот увидишь (что) … guarda un po' chi si vede! — ба! кого я вижу! (se) vedesse! — если бы вы видели!, это что-то поразительное! vedrà di che sono capace! — увидите, на что я способен!, вы ещё меня не знаете! (ci) vede doppio — у него в глазах двоится ( о пьяном человеке) non ci si vede da qui a lì — ничего не видать отселе и доселе ( прост) non ci si vede affatto, non ci si vede punto tosc, non ci si vede un briciolo fam — ничего <ни зги> не видно arrivai che non ci si vedeva più — я пришёл, когда было уже темно guardare e non vedere — глядеть <смотреть> и не видеть ho una fame che non ci vedo — смерть как есть хочется ( разг) vedi … — видишь ли … vedete (un poco) … — видите ли … ci vorrei vedere voi — хотел бы я видеть вас на моём месте resta a vedere … — остаётся ждать …; посмотрим … 2) смотреть, глядеть, рассматривать; осматривать vedere col microscopio — рассматривать в микроскоп questo (poi) è da vedere — это надо ещё посмотреть bisogna vedere se lo dice sul serio — надо узнать, говорит ли он это серьёзно 3) видеть, понимать; находить, считать vedo bene che … — я хорошо понимаю, что … volete vedere di sì? — хотите убедиться? se non ci credete, andate a vedere — если не верите, смотрите сами vedete voi che cosa si deve fare — решайте сами, как поступить vedere conveniente — считать подходящим non vedo come sia possibile — не представляю себе, как это (можно) сделать secondo la manieradi vedere — как на это посмотреть ciascuno vede a modo proprio, ciascuno ha il proprio modo di vedere — каждый судит по-своему, у каждого своё мнение la vedo diversamente — я смотрю на это иначе io la faccenda la vedo male — я не верю в благополучный исход дела si vede! — ясно!, понятно! lo vedrebbe un cieco!, si vede ad occhi chiusi! fig — яснее ясного! negli affari ci vede poco — в делах он мало смыслит 4) видеть, испытать, пережить vedere la morte vicina — смотреть смерти в глаза 5) видеться, встречаться; бывать, посещать andare a vedere qd — съездить к кому-л, повидать кого-л 6) иметь отношение che ci hai a vedere? — какое тебе дело?, ты-то тут при чём? io non ci ho a che vedere — я не имею к этому никакого отношения 7) стараться vedrò di accontentarlo — я постараюсь выполнить его просьбу vedere volentieri qc — делать что-л с удовольствием 2. часто употр субстантивированно: 1) зрение 2) вид bel vedere v. belvedere 3) мнение, суждение a mio vedere — на мой взгляд, по-моему al primo vedere — на первый взгляд¤ dal vedere al non vedere — в один миг, молниеносно vedersela tra … — сговориться vedetevela voi! — разбирайтесь сами!, дело ваше! ci siam visti! fam — пиши пропало! vederne di tutti i colori fam — ~ пройти огонь, воду и медные трубы né visto né conosciuto fam — ни слуху, ни духу; шито-крыто chi l'ha visto, l'ha visto!, chi s'è visto s'è visto fam — ~ только его и видели, его и след простыл; ищи свищи! non la può vedere la roba fam — на нём всё так и горит quanto più si vede, (e) meno si crede prov — чем больше видишь, тем меньше веришь vedere e non toccare è cosa da imparare prov — мука видеть, да не тронуть; трудно удержаться от искушения vedere è facile, e il prevedere è difficile prov — легко видеть, трудно предвидеть vedérsi 1) встречаться, видеться ci vediamo di rado — мы редко встречаемся <видимся> ciao, ci vediamo! — пока!, до встречи! 2) смотреться (в зеркало); видеть себя, смотреть на себя 3) чувствовать себя; понимать, сознавать mi vidi perduto — я почувствовал, что пропал in quel momento mi vidi morto — в тот миг я чувствовал, что мне конец in questa compagnia non mi ci posso vedere — я не выношу этой компании non mi ci vedo a farlo — я не чувствую себя в силах сделать это si vide obbligato a rispondere ему пришлось <он был вынужден> ответить -
7 vedere
1. непр.; vt1) видетьlieto di vederti (in ottima salute) — рад тебя видеть (в добром здравии), рад видеть(, что ты здоров)vedere chiaro — видеть ясно (также перен.)vedere bene / male перен. — видеть в благоприятном / в мрачном светеvedere nero / rosa перен. — видеть в чёрном / в розовом светеfammi / lasciami vedere — дай-ка мне посмотреть; покажи-ка мнеfarsi / lasciarsi vedere — показыватьсяlasciati / fatti vedere domani — приходи завтраnon dare a vedere che... — и виду не показывать, что...staremo a vedere!, vediamo!, (la) vedremo! — посмотрим!stai a vedere che... — вот увидишь (что)...(se) vedesse! — если бы вы видели!, это что-то поразительное!vedrà di che sono capace! — увидите, на что я способен!, вы ещё меня не знаете!non ci si vede affatto / punto тоск. un briciolo разг. — ничего / ни зги не видноarrivai che non ci si vedeva più — я пришёл, когда было уже темноguardare e non vedere — глядеть / смотреть и не видетьho una fame che non ci vedo — смерть как есть хочется разг.vedi... — видишь ли...vedete (un poco)... — видите ли...resta a vedere... — остаётся ждать...; посмотрим...2) смотреть, глядеть, рассматривать; осматриватьquesto (poi) è da vedere — это надо ещё посмотретьvedo bene che... — я хорошо понимаю, что...se non ci credete, andate a vedere — если не верите, смотрите самиvedete voi che cosa si deve fare — решайте сами, как поступитьnon vedo come sia possibile — не представляю себе, как это (можно) сделатьsecondo la maniera / il modo di vedere — как на это посмотретьciascuno vede a modo proprio / ha il proprio modo di vedere — каждый судит по-своему, у каждого своё мнениеla vedo diversamente — я смотрю на это иначеio la faccenda la vedo male — я не верю в благополучный исход делаsi vede! — ясно!, понятно!lo vedrebbe un cieco!, si vede ad occhi chiusi! перен. — яснее ясного!negli affari ci vede poco — в делах он мало смыслитandare a vedere qd — съездить к кому-либо, повидать кого-либоche ci hai a vedere? — какое тебе дело?, ты-то тут при чём?7) старатьсяvedrò di accontentarlo — я постараюсь выполнить его просьбуvedere volentieri qc — делать что-либо с удовольствием2. непр.1) зрение2) видbel vedere — см. belvedere3) мнение, суждениеal primo vedere — на первый взгляд•- vedersiSyn:adocchiare, apparire, avere davanti agli / sotto gli occhi, avvertire, avvisare, avvistare, guardare, ravvisare, rilevare, scorgere, notare, intravedere, scoprire, osservare; rivedere, riesaminare, ripassare, provare, esaminare; prevedere, stravedere, discernere, raffigurare, scoprire, distinguere, перен. comprendere, considerare••dal vedere al non vedere — в один миг, молниеносноvedersela tra... — сговоритьсяvedetevela voi! — разбирайтесь сами!, дело ваше!ci siam visti! разг. — пиши пропало!vederne di tutti i colori разг. — пройти огонь, воду и медные трубыné visto né conosciuto разг. — ни слуху, ни духу; шито-крытоchi l'ha visto; l'ha visto!; chi s'è visto s'è visto разг. — только его и видели, его и след простыл; ищи-свищи!non la può vedere la roba разг. — на нём всё так и горитvedere e non toccare è cosa da imparare prov — мука видеть, да не тронуть; трудно удержаться от искушения -
8 ♦ that
♦ that (1) /ðæt/a. e pron. dimostr. (pl. those)1 quello, quella; ciò; codesto, codesta; cotesto, cotesta: Give me that book, will you?, dammi quel libro, per piacere; Who are those people?, chi è quella gente?; I don't want this; I want that, non voglio questo; voglio quello; (spreg.) that George!, quel George!; DIALOGO → - Weather- Look at that sky!, guarda che cielo!; That isn't true at all!, ciò non è affatto vero!2 questo, questa: Has it come to that?, siamo giunti a questo (punto)?; siamo dunque a tanto?; That's what he said, questo è quello che disse3 (idiom.) Is that you, John?, sei tu, John?; Who was that on the phone?, chi era al telefono?; That's very like him, è tipico di lui; (cosa vuoi,) lui è fatto così; che altro ci si può aspettare da lui?; That's how I got it, ecco come l'ho avuto● That's all, ecco tutto!; tutto qui □ (fam.) That's a dear!, (che) bravo! □ (fam.) That's a good boy [girl]!, bravo [brava]!; che bravo ragazzo [brava ragazza] □ that is, cioè; vale a dire; ossia □ that one, quello, quella: I don't like this; I'll take that one, questo non mi piace; prendo quello □ that one over there, quello là □ That's right, giusto!; benissimo! □ That's it!, esatto!; giusto!; proprio così!; ( anche) ecco fatto!; basta!; DIALOGO → - In a sandwich bar- That's it, thanks, basta, grazie □ and (o and so) that's that!, ecco tutto!; tutto qui (o lì); ( anche) e basta; niente da fare; discorso chiuso!: I'm not giving you the money, and that's that, i soldi non te li do, e basta! □ and all that, e altro; e simili; eccetera eccetera; e così di seguito; e via dicendo □ (fam.) at that, a quel punto lì; tutto sommato; per giunta, inoltre: We left the matter at that, abbiamo lasciato la faccenda a quel punto; We had a lot of work, and painful work, at that, avevamo un sacco di lavoro, e faticoso, per giunta □ for all that, nonostante tutto ciò; con tutto ciò; ciononostante; nondimeno □ from that hour, da quel momento; da allora in poi □ like that, così; in questo (o quel) modo: Don't roll your eyes like that, non roteare gli occhi in quel modo!; He threw the ball like that, lanciò la palla così ( facendo seguire il gesto) □ on that, con ciò; al che □ talking of this and that, discorrendo del più e del meno □ There's that!, c'è anche questo (da dire); beh, anche questo è vero □ those who, coloro i quali (o le quali); quelli (o quelle) che □ What of that?, e con ciò?; che importa? □ ( facendo schioccare le dita) I wouldn't give that for it, non darei un soldo per averlo; non me ne importa un fico (fam.) □ (prov.) That's what it's all about, la vita è fatta di queste cose!♦ that (2) /ðæt, ðət/pron. relat.1 che; il quale, la quale; i quali, le quali: the dog that bit me, il cane che mi morse; those that don't believe me, coloro i quali non mi credono (o chi non mi crede); the boy [the film] ( that) we saw, il ragazzo [il film] che abbiamo visto ( that, se non è soggetto, di solito è sottinteso); No one ( that) I ever heard of could find the difference, nessuno, ch'io sappia, è mai riuscito a scoprire la differenza2 (in loc. temporali) in cui; che (fam.): the year that my son was born, l'anno che nacque mio figlio; the day ( that) I saw her, il giorno che la vidi● (fam.) Mrs Black, Ann Smith that was, la signora Black, da ragazza Ann Smith.♦ that (3) /ðæt, ðət/cong.1 ( spesso sottinteso) che: He promised ( that) he would go, ha promesso che ci sarebbe andato; There's no doubt ( that) they will come, non c'è dubbio che verranno; That he was ill can be proved, che fosse ammalato lo si può dimostrare; He was so tired ( that) he couldn't sleep, era così stanco che non riusciva a dormire2 (form.) perché; affinché; poiché: They gave their lives that we might live, diedero la vita affinché noi vivessimo3 che; poiché; per il motivo che: I'm glad ( that) you passed the exam, sono contento che tu abbia superato l'esame● but that, se non fosse (per il fatto) che □ (form.) in that, dacché; poiché □ now that, ora che; dal momento che; poiché □ so that, affinché; perché; poiché, cosicché (form.) □ Not that I have any objection, non che io ci trovi da ridire.♦ that (4) /ðæt/avv.(fam.) così; tanto; (fino) a tal punto: I can't work that hard, non ce la faccio a lavorare così intensamente; I will go that far and no further, arriverò fino a quel punto e non oltre; He's stingy, but not that stingy, è spilorcio, ma non fino a tal punto; DIALOGO → - Ordering food 2- I'm not that hungry, non ho così tanta fame● that much, tanto così ( facendo il gesto); ( di solito al neg.) molto; granché: I don't know that much about finance, non ne so granché di finanza □ (fam.) I was that tired I could drop, ero tanto stanco da non reggermi più in piedi. -
9 tale
such atali pl suchtale e quale just likeun tale someoneil signor tal dei tali Mr So-and-so* * *tale pron.dimostr. (questa, quella persona) he, she; the (o that) fellow, the (o that) person, the (o that) woman*, the one: è lui il tale che cercavi, that's (o he's) the fellow you were looking for; non mi parlare di quel tale, don't talk to me about that fellow; quella tale che ha telefonato sono io, I'm the one (o the person) that phoned // il tal dei tali, so-and-so (o what's-his-name); la tal dei tali, so-and-so (o what's-her-name)◆ pron.indef.1 (preceduto da art. indet.) someone: un tale mi disse che..., someone told me that...; c'è una tale che vuole parlarti, someone wishes to speak to you; ho appuntamento con un tale di Genova, I have an appointment with someone from Genoa // un tale che conosco, someone I know2 ( preceduto da quel, quella) the man*; the woman*: c'è quel tale dell'assicurazione, the insurance man is here; ha ritelefonato quella tale di ieri, the woman who phoned yesterday has called again.tale agg.1 ( simile, siffatto) such (a); like that (pred.): un tale fatto non era mai accaduto, nothing like that had ever happened (o such a thing had never happened); tali fatti accadono ogni giorno, such things (o things like that) happen every day; non avevo previsto una tale reazione da parte sua, I hadn't expected such a reaction on his part; come ci si può fidare di gente di tal genere?, how can you trust people like that (o such people)? // tale che, da, such as: la situazione non è tale da destare preoccupazione, the situation isn't such as to cause concern // la sua vista, un tempo ottima, non è più tale, his sight used to be excellent, but it no longer is2 ( con valore intensivo) such; so: c'era una tale confusione!, there was such chaos!; ho preso un tale spavento!, I got such a fright!; è ridotto in un tale stato!, he's in such a way!; è di una tal cocciutaggine!, he's so stubborn!; fu un tal peccato!, it was such a pity!; la violenza dello scoppio fu tale da mandare in frantumi tutti i vetri della casa, the force of the blast was so strong as to shatter all the windows in the house; ha subito un tale colpo che non riesce più a riprendersi, he suffered such a shock that he can't get over it3 (per esprimere somiglianza, identità, spesso in corr. con quale) like: tale il padre, tale il figlio, like father, like son // tale (e) quale → quale◆ agg.indef.1 (al sing. preceduto dall'art. indet.) a: un tale Signor Rossi, a Mr Rossi; tali fratelli Bianchi, a (firm called) Bianchi brothers2 (preceduto dall'art. det., per indicare qlco. o qlcu. in modo indeterminato) such-and-such: il tal giorno, alla tal ora, such-and-such a day, an hour; voleva sapere chi era la tal persona, he wanted to know who such-and-such was // ricordi quel tale amico di cui ti avevo parlato?, do you remember that friend of mine I told you about?◆ agg.dimostr. ( questo, quello) this, that; (pl.) these, those; ( sopracitato) above-mentioned, aforesaid; above: in tali circostanze, in (o under) those circumstances; in tal caso, in that case; dette tali parole, se ne andò, with these words he left; tale sconto è valido solo per comitive, the above (o above-mentioned o aforesaid) reduction is only valid for groups; tali provvedimenti hanno suscitato parecchie polemiche, these measures have caused a lot of controversy; il termine ultimo è il 31 maggio; se entro tale data non sarà stato effettuato il pagamento..., the deadline is May 31; if payment is not made by that date...* * *['tale]1. agg dimostr1) (simile, così grande) such (a)tale articolo è in vendita presso tutte le nostre filiali — the above-mentioned article is on sale at all our branches
e con tali scuse è riuscito ad evitare la punizione — and with excuses like those he managed to escape punishment
cosa ti fa credere che nutra tali sentimenti? — what makes you think he feels like that?
2)tale... tale... — like... like...tale padre tale figlio — like father like son
il tuo vestito è tale quale il mio — your dress is just o exactly like mine
hanno riportato una vittoria tale, quale non avevano sperato — they won an even greater victory than they had expected
2. agg indef1)ti cercava una tale Giovanna — somebody called Giovanna was looking for you
ha detto che vedeva un amico, un tal Rossi — he said he was meeting a friend, a certain Rossi
2) (persona o cosa indeterminata) such-and-such3. pron indef1)tale — (una certa persona) someone, (quella persona già menzionata) the one, the person, that person, that man (woman)è fidanzata con un tale dell'ufficio contabilità — she's engaged to someone in accounts
hai più visto quel tale di cui mi dicevi? — did you ever see that person o man you were telling me about again?
ha telefonato di nuovo quella tale — that woman phoned again
2)diciamo che l'ho saputo dal tal dei tali — let's just say I had o heard it from you know who
* * *['tale] 1.1) (simile)- i persone — such people o people like that
3) (questo)a tale scopo — for this purpose, to this end
a tale proposito vorrei dire... — in this regards I would like to say...
ho letto qualcosa a tale proposito sul "Times" — I read about it on the "Times"
4) (uguale, così)5) come tale, in quanto tale as such6) tale che..., tale dac'era un tale caldo o un caldo tale che non si riusciva a dormire it was so hot we couldn't sleep; a tal punto che — so much that
2.essere tale e quale a qcn. — to be the spitting o very image of sb
aggettivo indefinito1)un tale signor Mori, un tale Gino — a (certain) Mr Mori, a (certain) Gino
2)3.4.lui è il tale che cerchi — he's the person o man o one you're looking for
1)ho conosciuto un tale di Roma — I met a guy o man from Rome
ho incontrato un tale che dice di conoscerti — I met someone o a person who says he knows you
2)••il signor Tal dei Tali — Mr Somebody(-or-other), Mr So-and-so
tale (il) padre, tale (il) figlio — like father like son
* * *tale/'tale/1 (simile) - i persone such people o people like that; non lo credevo capace di una tale azione I didn't think he could do such a thing; in -i circostanze in such circumstances2 (in frasi esclamative) c'è una tale confusione! there's such a mess! è un tale idiota! he's such an idiot! fa un tale freddo! it's so cold!3 (questo) in tal caso in that case; a tale scopo for this purpose, to this end; a tale proposito vorrei dire... in this regards I would like to say...; ho letto qualcosa a tale proposito sul "Times" I read about it on the "Times"4 (uguale, così) la questione è irrisolta e tale rimarrà the question is unsettled and will remain so5 come tale, in quanto tale as such6 tale che..., tale da... c'era un tale caldo o un caldo tale che non si riusciva a dormire it was so hot we couldn't sleep; a tal punto che so much that7 (in correlazione con quale) l'ho trovato tale e quale I found him exactly the same; ho un vestito tale (e) quale a questo I have a dress just like this one; essere tale e quale a qcn. to be the spitting o very image of sb.1 un tale signor Mori, un tale Gino a (certain) Mr Mori, a (certain) Gino2 quel tale amico di cui ti ho parlato that friend I told you about; ci incontreremo il tal giorno alla tal ora we'll meet that day that time1 ho conosciuto un tale di Roma I met a guy o man from Rome; ho incontrato un tale che dice di conoscerti I met someone o a person who says he knows you2 c'è quel tale dell'assicurazione there's that man from the insurance companyil signor Tal dei Tali Mr Somebody(-or-other), Mr So-and-so; tale (il) padre, tale (il) figlio like father like son. -
10 affatto
completelynon è affatto vero! there's not the slightest bit of truth in it!* * *affatto avv.1 quite, entirely: un punto di vista affatto diverso, quite a different point of view2 ( con valore negativo) at all: niente affatto, nothing at all; non sono affatto contento del risultato, I'm not at all pleased with the result; non l'abbiamo visto affatto, we didn't see him (at all); ''Disturbo?'' ''Affatto!'', ''Am I disturbing you?'' ''Not at all''.* * *[af'fatto]1) (in frasi negative) at all, in the least"disturbo?" - "(niente) affatto!" — "am I disturbing you?" - "not in the least!"
2) (in frasi affermative) completely, absolutely* * *affatto/af'fatto/1 (in frasi negative) at all, in the least; non è affatto così! it's nothing like that at all! non ti riguarda affatto it's of no concern to you; non c'entro affatto I have nothing to do with it; non sono affatto sorpreso I'm not at all surprised; non sono affatto d'accordo I completely disagree; "disturbo?" - "(niente) affatto!" "am I disturbing you?" - "not in the least!"2 (in frasi affermative) completely, absolutely; è affatto vero it's quite true. -
11 come
1. avv.как, каким образом, каким путёмcome si dice in russo...? — как будет по-русски...?
come è che non ti ho visto? — как это (как могло случиться, что) я тебя не видел?
non so come fai a sopportare questo freddo! — не знаю, как ты выносишь этот холод!
"Lavora Franco?" "Lavora e come!" — - Франко работает? - Работает, и ещё как! (Не то слово!)
come ti dicevo... — как я тебе уже говорил...
2. cong.1) что, как2) (copula, relativa) какfa' come ti pare — поступай, как знаешь!
per come si mettono le cose... — судя по тому, как складываются дела...
fa come se non avesse sentito — он делает вид, будто ничего не слышал
come vedi, non sto con le mani in mano — как видишь, я не сижу сложа руки!
3) (quando) когдаcome entrò, scoppiò l'applauso — когда он вошёл, раздались аплодисменты
"E come se ne tornava in casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano sull'uscio per vederla passare" (G. Verga) — "Когда она возвращалась домой, с Лией на руках, соседки выходили на порог поглазеть на неё" (Д. Верга)
3. prep.как; в качестве + gen.; с точки зрения + gen.ti voglio bene come a un figlio — я тебя люблю, как сына
come risorse naturali, l'Italia è un paese povero — с точки зрения естественных богатств Италия бедная страна
4. m.способ, метод, манера (f.)spiegami il come e il quando — объясни мне, как и когда
5.•◆
è buono come il pane — он добряк (душа человек)come sarebbe a dire? — что значит?! (то есть?; как это так?!, с какой стати?!)
chissà (Dio sa) come — неизвестно как (Бог знает, как; как, одному Богу известно)
come no! — конечно! (а как же!; fam. спрашиваешь!)
com'è come non è — внезапно (ни с того, ни с сего; неожиданно)
a un certo punto, com'è come non è, le valigie erano scomparse — в какой-то момент, неведомо как, чемоданы исчезли
ricco com'è, potrebbe sborsare un po' di più — при таких деньжищах мог бы раскошелиться!
come minimo ti deve portare alla Scala! — он, как минимум, должен сводить тебя за это в Ла Скалу!
come se non li conoscessi, quei mascalzoni! — я их, подлецов, знаю как облупленных!
-
12 eye *****
[aɪ]1. nocchio, (of needle) cruna, (for hook) occhielloeyes right/left! Mil — attenti a destra/sinistra!
to keep an eye on sb/sth — tenere d'occhio qn/qc
to keep an eye out for sth/sb; one's eyes open for sth/sb — tenere gli occhi aperti per trovare qc/qn
to shut one's eyes to sth — (fig: to the truth, dangers, evidence) chiudere gli occhi di fronte a qc, (to sb's shortcomings) chiudere un occhio su qc
it's five years since I last set or laid eyes on him — sono cinque anni che non lo vedo
that's one in the eye for him fig — (fam) gli sta bene
2. vt(look at carefully) scrutare, (ogle) adocchiare•- eye up -
13 carraca
Carraca, esta palabra significa comida, condimentos, conquivus, (cacharros, etc.). Cuando íbamos a llindiar el ganáu disdi ‘l albiar el díe fasta que tapecíe, (cuidar el ganado desde el amanecer hasta el oscurecer) llevábamos la carraca nun cabaxín, zurronacu ou cestacu cualquier, (cabás, zurrón o cualquier otro cesto). Les muyeres baxaben al merquéu ya traíen la carraca pa toa la xemana. (Las mujeres bajaban al mercado y compraban si tenían dinero lo que se necesitase en la casa para toda la semana). Carraca tamén lu ye lu que lus vaqueirus chebaban disdi la teixá pal sou cabanu ou corte de la braña, dunde a lu mexor taben un fatáu de díes xin baxar a l'aldina, per ístu llebaben un carracáu de couxes que ñecexitaben. (Carraca también es lo que los vaqueros llevaban desde casa para sus cabañas del puerto, las morteras o los prados, donde a lo mejor estaban unos días sin bajar a la aldea, por esto subían muchas cosas que necesitaban y no todas eran para comer sino que algunas eran simples cacharros, o humildes mantas. Y carraca hermanos míos, era la que hacía mi madre y todas las vindas de los rojos, cuando todas las semanas iban a visitar a sus maridos a la Cárcel Modelo de Oviedo, como por las demás no puedo hablar, porque yo no sé cómo se arreglaban las pobrecitas, aunque me supongo que muchas hasta pidiendo limosna, sí que lo puedo hacer de mi madre, que todos los martes era el día que tenía de comunicación, y ella nunca sabía si le iba encontrar vivo, porque por aquellos tiempos fechus de llágrimes ya xufriencies, tous lus díes na carxel d'Uviéu achuquinaben cambrionáus enteirus de xóvenes astures y'anxina d’ista maneira tan achuquina, encalducá per prexones xin concencia, nin dinidá nin «Xusticia Humana», fexérun bon amagüestu de toes les xuventúes roxes d'Asturies, ya les pouques que nun achuquinarun llantárunlas nus batallones de trabayadores, dunde munchus morrierun achindi fartus de fames, de llatigazus ya vexaciones, ya lus oitres que xuerti tubieren de golguer pa la sou teixá, fexérunlu mamplenáus d'amollexíes que per mor d'echus tamén fatáus morrieron. Falaba you que carraca yera lu que miou má le chevaba ‘l miou pá tous lus martes a la carxel, que you nun séi lu que yera, perque na nuexa teixá nun había esconxolancia de nagua, peru lu que fora écha llantábalu tou nuna fardelaca, ya colaba na xuntura d'oitres muyeres de l'allina camín d'Uviéu tres ou catru gores endenantes qu’almaneciera, pos teníen qu'espatuxar alrreór de cuarenta quilómetrus andandu ya oitres tantus pa la regolguía, pos entoncenes nun valía faer el auto-stop que güéi se fae, perque tous lus cambriones ya coches cuaxi yeren millitares, y'angunus oitres yeren de lus drechistes, ya lus roxus nun teníamus namái que goxetáus mexeries, ya manegáus de miéu ‘l nuexu hermenu ‘l venceor, perque lus nuexus homes morrieran lluchandu nel frinti, ya lus oitres taben arretrigáus per les cárxeles dunde poucu a poucu lus achuquinaben ou lus esclavizaben nus batallones de trabayaóres, anxina yera que tou Asturies taba xemada de viudes, de vieyus ya de guaxiquinus güerfaninus, que tous nuexóitres, viétchus, muyeres ya nenus de lus roxus, díbamus ser esclavizáus inhumanamente baxu 'n enfernal xugu que nun nus dexaba más llibertá que la que nel xuenu cheldábamus. —Ya n'agora vou xebrame del trabayu d'enfilerar pallabres p'encalducalus cuamigu dientru d’ista hestoria dou tán lus raigones ya l'escola de nuexes costumes ya llingua. TRADUCCIÓN.—Por aquellos tiempos hechos de lágrimas y de grandes sufrimientos, todos los días que el Hacedor alumbraba, en la cárcel de Oviedo asesinaban camiones enteros de jóvenes astures, y así de esta manera tan despiadada y asesina, llevada a cabo por personas sin conciencia, ni dignidad ni ninguna clase de «Justicia Humana», llevaron a término casi el total exterminio de las juventudes rojas de Asturias, y las pocas que no asesinaron, las esclavizaron en los famosos batallones de trabajadores, donde muchos allí murieron hartos de hambre, de vejaciones y latigazos, y los pocos que tuvieron la suerte de volver a sus hogares, lo hicieron llenos de enfermedades que por mor de ellas también murieron bastantes. —Decía yo que carraca también era lo que mi madre le llevaba todos los martes a mi padre a la cárcel, que yo no sé lo que pudiera ser, porque en nuestra casa no había ninguna cosa de nada, pero lo que fuese ella lo metía dentro de una saca y marchaba en unión de otras mujeres de la aldea camino de Oviedo tres o cuatro horas antes que amaneciese, pues tenían que caminar alrededor de cuarenta quilómetros y otros tantos de retorno y todos los hacían andando, pues no servía hacer el auto-stop que hoy se hace, porque todos los camiones y coches casi eran militares, y algunos otros que había eran de los derechistas, pues los izquierdistas no teníamos nada más que grandes cantidades de miseria, así como de miedo a nuestro hermano el vencedor que jamás se portó nada bien con nosotros, porque nuestros hombres habían muerto en el frente, y los otros estaban presos en las cárceles, donde poco a poco les iban asesinando, o los esclavizaban en los campos de concentración o batallones de trabajadores, así era que toda Asturias estaba sembrada de viudas, de viejos y de niños huérfanos, que todos nosotros, viejos, mujeres y niños de las izquierdas, íbamos a ser esclavizados inhumanamente bajo el infernal yugo que no nos dejaba más libertad que la que en el sueño hacíamos. Y ahora me voy alejar del trabajo de poner en orden las palabras en este diccionario, para llevarles conmigo a los lugares donde yo he aprendido la dulce lengua de Asturias, que no es otro lugar que la escuela donde vivían las raíces y costumbres de Nuestro Pueblo, pues no se pueden buscar nuestras falancias en ningún otro lugar ni parte. Por esto les digo ahora, que si yo no hubiese vivido tan simple, sencilla, pobre, miserable, esclavizadora y dentro de la más natural de la «RAIZ ANCESTRAL DE ASTURIAS», ni yo ni nadie podría legarle a mi «AMADA ASTURIAS» ni a sus «HIDALGAS GENTES», la documentación pura, natural y sencilla que pueda tener este diccionario, porque desde estas mis simples líneas y mirándome muy mucho de lo que digo, les afirmo que hay muy poco fiable por no decir nada, escrito de nuestras costumbres y lengua. «DIES D’ENFERNU» (DÍAS DE INFIERNO) —Yera you 'n zaragoletu, 'n guaxiquín, un nenacu, 'n rapacín (un niño de unos ocho años), cundu la ñecexidá más prieta me fexera depriender lu que yera ‘l dollor, la xufriencia, l’inxusticia, lu pior qu'el Home pudiés encaldar d'enría lus sous xemexantes, you yera ún de lus miles d'anxelinus de miou Tierra que diba faer arroxaúra nel vivir d’ enfernu que m’aguardaba. Xin, fatáus de güérfanus lu mesmu que you, que güéi nel díe xuntu con nuexes familias, ente fius, ñetus, ya tou ‘l andecháu de parantela xomus más de la metá de les xentes d'Asturias, peru naquechus tempus d'achuquinus ya inxusticies nun yéramus namái qu'unus guaxiquinus dexamparáus de la man del Faidor ya del Home, ya tous noxóitres tubiemus que catanus el xustentu de fatáus de maneires diferientes, la miou per exemplu fó'ísta. COLOCOUME MIOU Má de cabrieru na teixá d'un amu baldrayu y atuñáu, llabascu y'achuquín tan solu per que me diera de comer ya me vistiera dalgu, peru ‘l condenáu matábame de fame, ya la vestimenta que punxu d'enría ‘l miou llombu conxistía nun calzáu que la metá ‘l tempu espatuxaba con las patas arregañás, apaxiétchau con unus fatucus tous esgacicáus que per tous lus lláus diben les mious carnis al entestate, acaniláes per el callor ya ‘l fríu en tou ‘l tempu. —Tenía yo aproximadamente ocho años de edad cuando me asesinaron a mi padre, y me recuerdo con toda exactitud cómo la ley de aquel tiempo llevó a cabo tan imperdonable, deshumanizante y vandálica felonía. —Nuna nuétche (una noche) llegaron a la casa de unos tíos míos que en mi aldea vivían y donde mis padres y yo nos refugiamos al término de la guerra en Asturias cuatro desalmados, cuatro bandoleros, cuatro inmundicias humanas, que escudados tras de sus armas empuñadas, representaban l'enñordiada Lley (LA SUCIA LEY) que en aquellos tiempos a la Justicia traicionaba, cuento yo, que aquellos cuatro merucus (gusanos), atemorizando e insultando a toda mi familia, detuvieron a mi padre, le amarraron como a la bestia que se lleva al matadero y se lo intentaron llevar de la casa, sin que mis tíos, (y la cosa no era para menos), intentasen pronunciar asustados como se encontraban ni la más mínima palabra de súplica o protesta. Pero mi madre no les secundó, sino que bravamente intentó defender al sou home (a su marido) no sólo con la palabra, que mi madre la tenía d'aguxa lu mesmu qu’un bon obreiru (de afilada lo mismo que un buen aguijón), sino que temerariamente se abalanzó sobre ellos y fuele preciso a uno de aquellos cobardes y desalmados representantes de la deshumanizada ley que corría en aquellos tiempos, de propinarle varios golpes con la pistola, dejándola mal herida y ensangrentada, tirada en el suelo con el conocimiento perdido. Mientras que aquellos bandidos, se llevaban a mi padre sin permitirle que de mi se despidiera, y tan solamente le he podido ver por última vez, tres les rexes de la cárxel d'Uvieu 'n die 'ndenantes que l'achuquinaren. (Detrás de las rejas de la cárcel de Oviedo, un día antes de que le asesinasen). Pronto mi madre y yo, llenos de la más desolante de las tristezas, y vestidos con el traje de las más indigentes miserias y pobrezas, nos marchamos de la casa de mis tíos y nos asentamos en la abandonada, vieja y destartalada casa de mi abuela. Y sin muebles, ni nada, los dos juntos, como grandes e indomables luchadores que hemos sido siempre, dimos comienzo sin desfallecer ni un momento, a la dura lucha por la vida, sin que nadie jamás nos ayudara. Empecé a ganarme la vida como pastor, a la corta edad de que cualquier niño sólo pensaría en jugar, comer cuando tuviese hambre y recibir de continuo montones de caricias y de amor, yo sin embargo, a pesar de no poseer nada de todas estas maravillosas cosas, era en extremo a mi manera feliz. Marchaba todas las mañanas con mi ganado al monte, donde permanecía todo el día, tan sólo con la compañía que me brindaba mi fiel y siempre por mí con cariño recordado Pelayu, que era un perro, de una inteligencia y sentimientos, que más bien que un chuchu (perro), parecía aquel singular animal un ser humano. Luego por las tardes, cuando el sol se escondía por detrás de las altas cumbres, retornaba feliz a la aldea, siempre lleno de contentura, cantando las más de las veces, amenizado por el potente tañir del zumbiétchu (cencerro) que llevaba colgado al cuello el semental del rebaño. Una mañana como tantas otras me encaminé con mi rebaño al monte y seria como a la media tarde cuando a la entrada de una cueva que se asentaba en un lugar casi inaccesible me encontré medio enterrado con las piedras y la escasa tierra que hacían la reducida plataforma de la portada de la caverna, un pequeño aro de oro, yo he tenido por así decirlo desde mi infancia la inmensa suerte de poseer una imaginación tan inmensamente dislocada, que por tal solían decirme mis vecinos, que era yo el rey de las mentiras, así como el más hábil inventor de endemoniados cuentos. El caso era, que aquel misterioso anillo abandonado a tan larga distancia de mi aldea y en lugar tan argutosu (estrecho, alto, inaccesible), hiciéronme presto pensar, que aquella joya no había llegado a tal escondrijo por sí sola, sino que desde luego alguien la había traído. En el momento mi imaginación desbordante de una alegría que no encontraba un fin para frenarla, comenzó a fomentar sin el menor titubeo la fantástica idea de que en el interior de aquella caverna debía de encontrarse un tesoro de preciosas joyas y valorativas monedas, y quién le había ocultado sabe Dios cuando, seguramente habría perdido aquel anillo que por casualidad yo encontrara. Así pues, ya firmemente convencido, adentreme temerariamente sin el menor temor por la angosta cueva con las miras de apoderarme de aquella inmensa riqueza que según mi soñativa imaginación me había hecho comprender que en su interior me estaba aguardando. Pero aquel día no conseguí mi feliz propósito, porque era la caverna más larga de lo que había pensado y la oscuridad que en ella reinaba me hacía ciego de toda luz. Senteme en su entrada muy desilusionado al no poder lograr lo que había soñado, pero pronto mi mente empezó a dibujarme mil dispares tesoros, pues por el rastro que descubriera seguramente que dentro de la gruta se hallaría escondida alguna chalga (tesoro) guardado con toda seguridad por una Xana, Xumiciu, Trasgu o Culiebru (dioses de la Mitología asturiana), pues al decir de el abuelo Nicomedes cuando en las largas veladas de los inviernos y sin jamás interrumpirle con grande contentura le escuchábamos las leyendas, cuentos e historias que él lúcida y socarronamente nos contaba, afirmándonos siempre que eran tan ciertos sus relatos, como que todos habíamos nacido para morir. Y cuando hablaba de las chalgas aseguraba que tal o cual vecino, morador de esta o aquella aldea, se había hecho de la noche a la mañana rico al haber encontrado una chalga. También afirmaba poniéndose muy serio alegando unos razonamientos que convencían, que las montañas que rodeaban nuestra aldea había muchas chalgas escondidas, que fueron sepultadas hacía muchos siglos por los invasores moros, que al ser vencidos por los astures y al no poder huir con tan pesados tesoros, los ocultaban en las montañas con las miras de poder regresar algún día a desenterrarlos. Como cuento, yo en aquellos momentos vivía alborozado, sumergido en una disloca alegría al saberme ya dueño de aquella incontable riqueza, haciendo que mis inocentes ojos sonriesen felices inmersos en la imaginativa dicha de poder muy pronto liberar a mi madre de la pobreza y quitarla del agobiador trabajo que faenaba trabajando en los eros de los vecinos de estrella a estrella por un miserable sueldo andechandu (en cuadrilla) todos los días. Y así pensando todas las dichas que mi infantil mente podía imaginar, rodeado por el sepulcral silencio que envolvía la grandiosidad de las montañas, rasgado de vez en cuando por el potente y agudo graznido que desde los peñascos más inaccesibles, o desde los infinitos espacios donde con majestuosidad planeaban, lanzaban las útres (águilas), que con ojos inquisitivos oteaban con hambrientas intenciones los escabrosos riscos y las empinadas fistietchas (pequeños valles encajonados entre las peñas), con la esperanza achuquinante (asesina) de poder atrapar con la rapidez del rayo, algún recental que se hubiese xebrau (apartado) de su madre. También aquel silencio que invitaba a la meditación era con más continuidad cortado, por el dinámico tañir del zumbiétchu (pequeño cencerro) que colgaba del brioso cuello del macho cabrio, conductor y semental del rebaño. Como cuento, allí permanecía ensimismada mi mente en el soñar despierto, fabricando sin trabas de la misma nada, las más disparatadas y fabulosas dichas, que harían la felicidad de mi madre junto con la mía. Llegó casi sin enterarme el atapecer del día (al oscurecer) y fue entonces cuando desperté con prisa del maravilloso soñar donde vivía, y raudo, con agilidad y destreza que hoy al recordarla me causa dicha, reuní en pocos minutos mi rebaño, ayudado con eficacia por Pelayu, mi fiel, obediente, valiente y amaestrado perro, que no le tenía miedo a nada ni a nadie si exceptuamos al siempre mal intencionado y vigoroso macho semental de la reciétcha que yo allindiaba (ganado menudo que yo cuidaba). Y cuando ya el día agonizaba entre las negras vestimentas de la noche, entré en mi aldea conduciendo orgullosamente mi rebaño. A la entrada del pueblo sentado plácidamente fumándose un cigarro, estaba esperándome mi amo preocupado por mi tardanza y acercándose a mí, con palabras desaforadas e insultantes, a la par que me reprendía con dureza, me preguntaba el por qué me había demorado tanto. No recuerdo lo que le contesté, ni la historia que le largué, lo que si sé, que no se creyó de ella nada, pues todas las gentes que me conocían bien sabían, que yo confundía la verdad con la mentira haciendo con entrambas las más inverosímiles y dislocadas historias. Sin embargo, lo que yo sabía muy bien, era que aquel miserable labriego de mi aldea, que tenía la desgracia de cuidarle sus ganados, por la triste desgracia de una comida infame y peor vestimenta, no le incomodaba en absoluto que yo llegase tarde o que me despeñara desde un serapu (peña) y me escontonara la motchera (rompiera la cabeza), lo único que le preocupaba al condenado, era que llegasen a su teixada (casa) sanos y fartus (hartos) todos sus ganados. Al siguiente día bien de mañana como de continuo hacía, con un poco de sabadiegu (chorizo malo) un cantezu (pedazo) de pan moreno y cuatro manzanas dentro de mi zurrón, salí de mi aldea afaluchandu (arreando) el rebaño, y con aquellas miserables viandas que llevaba en mi morral, tenía que aguantar todo el día en el monte corriendo sin descanso tras aquella veceira (rebaño) de cabras. Lo que no sabía el condenado de mi amo, era que yo siempre que tenía hambre, le ordeñaba sus cabras dentro de una lata que tenía escondida en la montaña, hartándome tanto yo como mi fiel Pelayu de espumosa y fresca leche hasta el golifar (hastiar). Si el bastruya (zafio) de mi amo tan sólo hubiese sospechado que le mucía (ordeñaba) sus cabras todos los días, me hubiera eszarapau (despedazado) mi frágil cuerpo con un mamplén de cibiétchazus (con muchos palos). Espatuxaba (caminaba) yo muy contento aquella mañana, quizás lo hiciera mucho más feliz que nunca, arreaba mi rebaño con desacostumbrada prisa, porque ansias locas tenía de llegar a la montaña, para entrar de nuevo en la misteriosa cueva, pues ahora ya no tendría problemas con la obscuridad que en ella reinaba, ya que conmigo llevaba una caja de cerillas y un pequeño candil que le había arrapiegáu (hurtado, quitado) de la corte (cuadra, establo) a mi amo, y con aquella luz, sería capaz de bajar hasta las mismas entrañas de la tierra, si a tal lugar la caverna se extendiese. Aquella noche había dormido poco y soñado mucho, tanto despierto como dentro del desvelado sueño, y tanto de una manera como de la otra, siempre llegaba a la conclusión, de que dentro de aquella para mi misteriosa gruta se ocultaba una fabulosa chalga de la que iba ser yo su señor y dueño, y cuando tal me sucediese, ya no sería yo más criado de ningún rapiegu (zorro) amo, ni tampoco a mi querida madre se le encallecerían jamás las manos, efectuando esclavizantes trabajos, nunca para el prójimo bien servidos y siempre por él peor pagados, ni se partiría sus costillas refrescándose el cansancio en su propio sudor por las fincas de nuestros vecinos, por donde se arreventaba todos los días del año, por la mezquina soldada de una fuente no muy grande de harina, un cesto de patatas, o cualquier otra vianda que mitigase el enorme fantasma del hambre, que desde el fin de la guerra se había enseñoreado de nuestro indigente char (lar), que nos obligaba despiadadamente a unos ayunos tan sumamente raquíticos, que el día que comíamos algo en traza (algo mas), tal parecía que habíamos cometido un grave pecado. Cuando yo fuese dueño de aquel tesoro, (abanzaba seguido de Pelayu arreando con prisa los ganados camino de la argutosa «abrupta» montaña, a la par que imaginativamente iba pensando), compraremos una casa decente, buenas fincas y mejores ganados, y entonces nuestros vecinos nos mirarán con respeto, y no nos tratarán con el menosprecio y la esclavitud a que ahora nos someten. Llegué al fin hasta el lugar que por costumbre tenía de enveredar el ganado para que a su aire subiesen guareciendu (pastiando) como siempre hacían hasta llegar al final de la tarde que era cuando el rebaño solía alcanzar lo más alto de la montaña. Pero aquel día no seguí yo al redil como siempre hacía, sino que me adelante a él corriendo sin el menor cansancio laderas arriba, hasta que por fin sudoroso y galopante en la alegría llegué a la vecindad de la caverna. Pude comprobar sonriente a la par que cariñosamente acariciaba a Pelayu, cómo éste me miraba contrariado al ver que yo por primera vez había cambiado todos mis cotidianos hábitos. Ya que siempre nada más llegar al monte y dejar a las cabras a su albedrío pastiando, nos sentábamos en el lugar acostumbrado, y zampábamos sin pérdida de tiempo a partes iguales como buenos compañeros, la miserable comida que nos había servido nuestro amo. Después jugábamos incansablemente en mil dispares entretenimientos hasta quedarnos rendidos, y muchas veces tras de nuestros juegos, los dos juntos abrazados nos quedábamos profundamente dormidos y al despertarnos sino avistábamos el rebaño, corríamos alocados por la preocupación, por entre los abruptos riscos, y las espinosas malezas hasta lograr encontrarlo. Después otra vez gozosos retornábamos a nuestros juegos, o yo me quedaba mirando a las montañas ensimismado pensando, mientras que Pelayu se entretenía cazando grillos, u otros insectos, y otras veces con sus blancos y poderosos colmillos recorría con rabia su pelambrudo cuerpo, diezmando la cabanada (rebaño) de pulgas y otros parásitos que con su sangre se alimentaban. Como cuento, aquella mañana mi fiel Pelayu me miraba preocupado, pudiendo yo observar en sus vivarachos, picarescos e inteligentes ojos, una recriminación que me estaba haciendo, por su forma de ponerme sus fuertes patas en mi pecho, a la vez que me lamía entre pequeños y cariñosos ladridos mi rostro. Si con sus ladridos pudiese hablar mi lenguaje, seguramente que me diría. —No seas un iluso soñador, mi más querido y preciado compañero, no llegues con tu fantástico pensamiento hasta el extremo de acariciar ni tan siquiera cuanto te has imaginado. Comámonos con la alegría de que hacemos gala todos los días, esa mezquina comida que nos da nuestro despreciable amo, y juguemos con la inocente felicidad de siempre, ya que éste será el más grande tesoro que jamás podrás superar en tu vida. ¿Dónde podrás hallar una riqueza que se pueda comparar a la natural y sencilla felicidad que hoy gozas, aunque ésta se haga su camino dentro de la gran pobreza que te acompaña? Pero hoy yo sé fijamente, que aunque mi perro pudiese hablar, haciendo que en tal momento me asustase al presenciar tan grande milagro, y me dijese que no entrase en la cueva, porque lo que dentro de ella iba a encontrar sería mi propia muerte, la verdad es, que ni al mismo Faidor (Dios) en aquellos momentos yo no obedecería, y así de resuelto, encendí el candil, y sin el menor asomo de miedo, ya que la ilusión y la alegría que poblaban mi espíritu en aquel encaldar (hacer) eran tan inmensos, que empequeñecían hasta el ignoro cualquier otro sentimiento. Adentreme en la cueva que era iluminada tenuemente con la pobre luz que el candil despedía, siempre acompañado de Pelayu que tras de mí, el muy tuno de mi aventura se reía, no era larga la caverna, pues a treinta metros no alcanzaría, y cuando llegué al final, no encontré ni las Xanas, ni los Trasgus ni Xumicius, ni la chalga, preciado tesoro que yo perseguía, sólo había muchos cascos de avellanas y de nueces, algunas latas de conservas ya vacías, unos trapos manchados de sangre, unas mantas viejas y apoyadas en la rocosa y húmeda pared de la cueva, había varias armas de fuego que pronto me hicieron olvidar la riqueza que en un principio había imaginado que allí me aguardaría. Por primera vez en mi vida iba a tener juguetes, auténticos juguetes de verdad de los que usaban los hombres para asesinarse vilmente al igual que hacen los lobos cuando por su cuenta cogen un apacible rebano de ovejas. Dejé el candil en el suelo y elegí entre todas aquellas armas una brillante escopeta, lleno de contentura me senté encima de aquellas mantas y empecé a maniobrar con aquel peligroso juguete, yo sabía cómo se manejaba supuesto que mi amo tenía una escopeta muy parecida y le había visto limpiarla y cazar con ella algunas veces, durante algún tiempo estuve jugando con ella, de una canana que allí había saqué dos cartuchos que metía y sacaba dentro de su recámara, yo me creía en aquellos mis felices instantes el más grande cazador del universo. Pelayu que ya se había cansado de husmear por todas las partes y no habiendo encontrado nada donde llancái el diente (hincar) se tumbó en el suelo frente a mi mirándome sonriente y burlonamente, (porque aunque ustedes no lo crean, yo sé que los chuchos saben sonreir). Enojeme de Pelayu al ver como tan descaradamente se mofaba de mí, por eso encañonele con la escopeta con ánimo de amenazarle, pero cambió Pelayu de gesto rápidamente, levantose con rapidez del lugar donde estaba achucáu (costado), enseñome los clientes ladrándome muy enfadado y a la velocidad del rayo salió de la cueva, quizás porque el inteligente animal presentía, de que alguna desgracia iba a lleldar (hacer) yo con aquel mortífero artefacto, y no quería ser él quien primeramente la recibiese en su cuerpo. Aun permanecí algún tiempo en la gruta jugando a mi manera con las armas, y solamente cuando el candil por su guiños me hizo comprender que su luz ya se le estaba escosando (terminando), salí de la caverna con la escopeta en una mano, dos cartuchos en su recámara y el candil en la otra. En el exterior Pelayu correteaba detrás de los grillos y las camporinas (mariposas) al parecer ya libre de todo enfado. Ya cansado de jugar dejé la escopeta en el suelo y senteme tranquilamente al lado del zurrón, y en cuanto mi perro vio que ya había abandonado el arma, vino corriendo hacia mí, moviendo la cola y sonriéndome amigablemente. Allá abajo en la mitad del valle pude ver a mi rebaño cómo subía espenandu (comiendo) los pochitcus (enanas encinas), y yo de nuevo me volví a sentir feliz y contento a pesar de no encontrar la chalga que tanto con su riqueza había soñado e ideado. Comimos a hora desacostumbrada mi perro y yo aquella pobreza de comida, y tras de jugar un rato, él se quedó adormilado y yo comencé a pensar de quién serían aquellas armas. No me cabía la menor duda de que aquel arsenal de armas debía de ser de los fugáus (huidos), seguramente que eran de aquellos cuatro rapazones (mozos) que se entregaran a los soldados que estaban destacados en mi aldea. Yo los había visto en el cuartel que los militares tenían que era en la escuela de mi aldea, un amplio edificio que fuera regalado a la parroquia por unos indianos del chugar (lugar) que retornaran de las américas con la corexa betchá de cuartus (con la cartera llena de dineros). Recuerdo que aquel día que yo los vi, un soldado que de seguro sería el barbero, les estaba cortando el abundante pelo que lucían, y uno de los rapazus le dijo sonrientemente al militar. ¡No hace falta que te molestes mucho camarada, pues cuando un día de estos nos trasladeís a la cárcel de Oviedo, allí lo más seguro es que nos rebanen el pescuezo! EL MACHO CABRÍO Güelgu coyer el filu dóu d'endenantes m'enduébitchaba algamiandu na miou motchera alcuerdancies de cundu you yera guaxe, ya comu tóus non se puén cuntar per filera, per ísu xebreme d'aquín, pa dir p'acuchá, perque toes les couxes tienen la sou xaceda, ya non la quixéramus cataye nuexotrus. (Volviendo coger el hilo de los aconteceres que anteriormente en mi cerebro se barajaban dentro de las añoranzas de mi niñez, y como todos estos acaeceres no se pueden relatar en hilera, por eso me marché de éste, para ir al de más allá, que es de donde vengo ahora, porque todas las cosas tienen su propia postura, y no la que quisiéramos darle nosotros). Y aunque parecía que me había perdido por estar tan llargu lonxe (tan largo lejos) la verdad es que yo no pierdo el tiempo adornando los hechos que no deben de ser adornados, nin fiéndume en xebraures que van esfaese 'n probeces, perque 'l que non ye llicenciáu 'n filloxofía e lletres, non pué faer munches froritures con les pallabres nin les lletres, ya per ístu, tien que encaldase 'n aforrador d'istus dellicáus y'artifixusus monumentus, perque si lus mesmus que güéi día que lus manexan y'atreinan, la metá de les veces non xapien lu que falen, ya llanquen el focicu fasta les urées en telares de Pachu 'l Xabadiegu betcháus de poxa y'escosáus del granu que ye pelu que tóus muramus nista engochá vida, ¿qué fairé you que 'deprendí namái que tres meses nuna escola pública? (Ni me hondeo en deserciones que se deshagan en pobrezas, porque quienes no son licenciados en filosofía y letras, no pueden hacer muchas florituras con las palabras y las letras, y por esta razón, tienen que hacerse ahorrativos de estos delicados y artificiosos monumentos, porque si los mismos que hoy en día los manejan y cuidan, la mitad de las veces no saben muy bien ni la mitad de lo que escriben, ni otra pareja parte de lo que hablan, y meten por estos menesteres el hocico hasta las orejas, en cuestiones que los imposibilitan para después resolverlas, y si se aproximan a este nivelamiento, lo hacen sembrando una hierba productora de mermado grano, que es el punto primordial que todos intentamos recoger en esta cerda vida. Como cuento, si estos señores eruditos en estas materias se equivocan ¿qué puedo hacer yo, ¡pobre de mí!, que tan solamente he tenido la suerte de ir al colegio público tan sólo tres meses?). Cuento yo que me hallaba en aquellos mis infantiles pensares intentando saber a qué huidos pertenecían aquellas armas, y así dejé tal perder el mucho tiempo que me sobraba, cuando mis ojos retrataron el gran combate que a baja altura, muy por debajo de donde yo me encontraba, sostenían tres cuervos, que despiadada y valientemente le atacaban a un águila real, y ésta piando quizás por el dolor que le inferían los efectivos picotazos de los cuervos, o tal vez en su lenguaje maldiciéndoles llena de rabia por el no poder repeler el ataque de que era objeto. No podía defenderse de sus tenaces atacantes, porque todo su cuerpo en gran tensión estaba, ya que al volar tan bajo, todas sus enormes energías las precisaba para mover sin el menor descanso sus grandes alas, con el apremiante fin de salir de aquel espacio que al parecer pertenecía a los belicosos cuervos, que con ardorosa valentía y enquina ofensiva, disputaban tal natural privilegio, a las mismas soberanas de los cielos. Había yo presenciado muchas veces batallas entre las águilas y los cuervos, y siempre éstos las perseguían atacándoles por su parte posterior, hasta la altura donde el águila ya no necesitase mover sus alas para sostenerse, cuando esto sucedía, los cuervos precipitadamente abandonaban el combate, porque ellos sabían, que donde el águila pudiese planear, todo animal viviente que se acercara, encontraría entre sus poderosas garras una rápida muerte. Queriendo yo saber como es natural el por qué los cuervos atacaban a las águilas, un día que cuidando sus cabras junto a mí estaba un paisano llamado Máximo, que por apodo se le llamaba el «Puchegu», porque tenía tantas razones en sus hablares como palabras por su boca se alumbraran, a pesar de que el Puchegu no sabía leer ni escribir, sabía de cuentos más que el mismísimo Quevedo, e igual hacía cuando se le necesitaba de veterinario que de médico, atinaba casi siempre cuando iba a llover o hacer buen tiempo, en fin, que era Máximu el Puchegu en todas aquellas aldeas de mis amores, una Enciclopedia que aventajaría en mucho a todas las que en nuestros días nos sirven las grandes editoriales, industriadas por hombres estudiosos de las ciencias. Empezó mi amigo el Puchegu explicándome, que son los cuervos de las abruptosas montañas más bregáus (valientes) que los que moran en las valladas o pequeñas lomas, y todo porque la escasez de alimentos en las rocosas cumbres, es muy inferior a los que existen en los valles o montículos, y así como a los hombres la abundancia los hace temerosos y a veces hasta pusilánimes, y la necesidad o privaciones los vuelve por ley de vida temerarios y osados, en los animales ocurre en igual medida lo mismo, así pues, el cuervo defiende su pitanza no permitiendo que las águilas cacen a menor altura que la que les pertenece, y si desde tal situación descubren una pieza, y bajan con su endemoniado vuelo de alas plegadas la apresan y luego vuelven a elevarse al lugar que les corresponde, los cuervos no osarán ni tan siquiera molestarlas, pero si por el contrario descienden para dedicarse a cazar desde el lugar que no les pertenece, entonces los cuervos las atacan con verdadera saña y valentía y siempre logran hacerlas ascender hasta la posición que ellos consideran justa. Esto es así, porque desde tal altura las águilas sólo pueden divisar en tierra una pieza que ellos no cazan nunca, como puede ser un conejo, una pequeña res, un zorro, y hasta inclusive el mismo perro que con el pastor cuida el rebano, y también se han dado casos en que las águilas hasta han cazado un lobo, y con él entre sus garras han subido hasta sus utreras (nidos) donde le devoraban con la misma satisfacción que pudieran hacer cuando se afestinaban con las tiernas carnes de un inocente corderillo. Si las águilas pudiesen volar más bajo sin ser por los cuervos molestadas, también podrían cazar con gran facilidad, lagartos, culebras, etc., etc., y es ésta precisamente la comida que el cuervo defiende, por eso ataca al águila cuando ésta intenta apoderarse de la que él cree que es su exclusiva pertenencia. Terminó el águila al fin tras el ardoroso acoso a que la sometieron los cuervos de subir hasta la altura que ellos consideraron lícita, y rápidamente éstos plegando sus alas la abandonaron y en vertiginoso vuelo buscaron el abrigo de los arbustos de sus montañas. Terminó para mí aquel día el maravilloso espectáculo que la soberana del cielo y los bravos cuervos me habían ofrecido, y fue entonces cuando me incorporé del lugar donde me hallaba sentado, para mirar a mis cabras que guarecían (pastiaban) por encima de donde yo estaba a la corta distancia de unos cincuenta metros, lo primero que mis ojos retrataron fue el orgulloso y antipático macho cabrío, que empericotáu (subido) en un cuetaron (peñasco) a la par que espenucaba (arrancaba) las fuéas d'un pótchiscu (hojas de una enana encina), mientras que las enguyía, parecíame a mí que me estaba mirando desafiadora y despreciativamente, con sus grandes y retorcidos cuernos, su larga perilla y enorme cencerro, se me representaba como el diablo que sonriéndose ladinamente se guasaba de mi humilde persona, a la par que de mi buen Pelayu, pues a entrambos y dos el condenado nos había hecho correr infinidad de veces, por eso, tanto Pelayu como yo siempre que teníamos ocasión y traicioneramente, él le mordía sañudamente en sus cadríles (patas) y yo le atizaba barganazus (estacazos) y pedradas donde mejor encaldase (terciase). Ocurriósele a mi mente en aquellos momentos el darle un buen susto a aquel demonio con cuernos y cencerro, por eso así la escopeta con determinación, y cargada como se encontraba con dos cartuchos, apunté por debajo de donde él se hallaba con el firme propósito de tan sólo darle un susto que no olvidase en su vida, y ya sonriéndome adelantadamente por el resultado de la idea que sin más pérdida de tiempo iba llevar a la práctica, apreté los gatillos de la escopeta, y una doble y potente explosión originose que dio conmigo en el suelo por la fuerte sacudida que el arma emburrióu (empujó) con dolor en mi cuerpo. Pero escosóseme d'afechu (marchóseme del todo) tal dolor, cuando entre el repilar (ecos) de la montaña por la explosión, sentí al macho cabrío lanzar al viento grandes berridas, que hiciéronme con preocupada prontitud deducir, que aquel demonio odioso no se quejaba por el susto que pudiera recibir, sino por la perdigonada que sin yo proponérmelo le había albergado en su pelambroso y maloliente cuerpo, levanteme sin demora del pedregoso lecho donde la escopeta con su duro empujón me había acostado, y aún tuve tiempo de ver cómo el semental de mi rebano rodaba por entre los cuetus del xerrapeiru (peñas de la sierra) infiriéndose más heridas en su cuerpo que las que yo por equivocación con los dos disparos le había inferido, siendo quizás su muerte no la perdigonada que le había desequilibrado, sino los argutoxus cuetus (agudos peñascos) que cual cuchillos al rodar su pesado cuerpo por entre ellos le apuñalaban mortíferamente, por eso al detenerse en su poleamientu (rodar) detrás de un pótchiscu (encina) que encontró en su paso, dejó de berrar en el instante, que su vigoroso cuerpo perdiera la vida. Fuime yo corriendo acompañado de Pelayu que me ganó la palma en la carrera, hasta el lugar de aquel desgraciado suceso, y cuando llegué donde el chivo estingarráu (tirado, acostado) ya no contaba como enemigo vivo, vi cómo a torrentes se desangraba, a la par que Pelayu con su nutritiva sangre se fartaba (hartaba). Pensé yo con gran temor cómo decirle a mi amo lo que había pasado, él que sentía por su chivo un orgullo y continuo ponderado casi desmedido, pues siempre que la ocasión se le brindaba cuando con sus vecinos dialogaba, soliales afarrucado (faroleándose, chuleándose) decir, que no había en toda la comarca un macho cabrío que ni con mucho en raza y estatura, se le pudiese parecer al suyo. Era ya casi la hora de afalar (retornar arreando el ganado para casa) cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amo que el chivo por si sólo se había despeñado, así que guardé la escopeta en la cueva y apresuradamente yo temeroso y preocupado y Pelayu contento por hallarse harto, reunimos el rebaño y nos encaminamos hacia la aldea, parecía que hasta las mismas cabras que en otras ocasiones se mostraban rebeldes y saltarinas, aquel desdichado día caminaban cabizbajas y avizorantes, observando en todas las direcciones con pronunciosa alteración, buscando aquel macho cabrío que las dirigía y dominaba con su orgullosa presencia, haciéndose notar en todo momento, por el continuo tañir de su zumbiétchu (cencerro), que por primera vez en el rebaño no se sentía el caidonante ruxíu (dirigente sonido). Pienso yo que solo contento caminaba vigilante mi fiel Pelayu, porque ya nadie en el rebaño se atrevía a discutirle sus ladridos o frágiles mordiscos, cuando por orden mía a las cabras con eficiencia les infería. Más sin embargo yo, al igual que a mis cabras, algo me tenía también apresado, algo extraño para mí, por primera vez a mi espíritu esclavizaba, que ni era tristeza ni pena, pero sí era miedo y grande desesperanza. Siempre que retornaba con mi rebaño a la aldea, cuando en las atardecidas la montaña abandonaba, mi corazón ameruxáu d'allegría (rebosante de alegría) a mi garganta un torrente de cante le rogaba, y ésta inocente y falta de todo perjuicio, sintiéndose tan dichosa como los mismos celestiales ángeles, cantaba recias asturianadas, mientras que todo mi ente, afanosamente afalaba (arreaba) las cabras. Quizás cantara yo aquellas horas con más gracia que en todo el día por alegre que fuera y pudiera tener, porque por así decirlo me acercaba al sencillo y noble vivir de las gentes de mi aldea, pues diez o doce horas en la continua soledad que en las montañas me acompañaba, para un rapacín como yo era, eran muchas horas desamparado de la comunidad humana, y sobre manera yo, que con ser mi cuerpo ágil y fuerte hasta casi rayar en el desuso, empequeñecido se quedaba si le comparaba con mi espíritu tan ensoñador e imaginativo, que todas las cosas al engrandecerlas confundía, menos el miserable pan de la maxera (artesa) que mi amo me entregaba, que a pesar de ser tan escaso, jamás supe imaginar nada para engrandecerle. Estaba mi amo a la entrada de la aldea esperándome como siempre hacía para ayudarme a xebrar el rebaño, ya que como eran tantas cabras, no cogían todas en la misma corte (establo), y había que llevar parte de ellas a otra cortexa (cuadra pequeña) que estaba en la parte opuesta de la aldea. Entretenía siempre su espera el condenado de mi amo, hablando con un artesano del lugar, que se dedicaba a la fabricación de yugos y madreñas, que tenía su taller montado debajo de un hórreo, que estaba asentado a la salida de la aldea, mismamente en la desembocadura del pedregoso y empinado sendero que venía de la montaña. Desde tal lugar él sentía con antelación el potente tañir del zumbiérchu (cencerro) que ximielgaba (movía) con fuerza y hasta con orgullo el estupendo semental de su rebaño, entonces él liquidaba por el momento con el madreñeiru la conversación que estuviesen embargando, y dedicaba toda su atención a su rebano, observando con avarienta atención, en el propiar si sus ganados venían fartus óu famientus (hartos o hambrientos), o si alguna de sus cabras venía coxa (coja) por mor de haberle caído una piedra o cualquier otro accidente que hubiera acaecido, como solía ser normal algunas veces. Pero aquel inolvidable para mi atapecer (atardecer) vio antes sus cabras que escuchara el ya inexistente zumbiétchu, por eso con su vozarrón de trueno, y como una centella por mí temido, me preguntó a la distancia de una piedra lanzada cuesta abajo: —¿Qué fói lu que pasóu Xulín...? —¿El chivu perdiu 'l mayuelu...? —Quería decirme, que si el cencerro que llevaba su chivo, había perdido el majuelo, o pequeño péndulo que lleva dentro el cencerro. —Esto también era frecuente que sucediese. Contestele yo desde aquella altura con mucho menos miedo que si me encontrase ante su presencia, diciéndole que el chivo se había despeñado, y arriba en la montaña se encontraba muerto. Estas mis palabras que en el viento camino de la aldea mi voz empujó con fuerza, fueron escuchadas por mi amo que se encaricotóu (encendió) en una rabiosa tristeza, que si pudiese desahogarla, seguro que en mi persona haría él su complacencia. También la desgracia del chivo, que por mí a voces era anunciada, fue oída por algunos otros vecinos a parte del madreñeiru, y como aquel semental de macho cabrío había sido siempre tan aponderado e idolatrado por el babayu (bocazas, charlatán) de mi amo, que con su dichoso cabrón los vecinos de la aldea ya habían pescado la costumbre de decir siempre que alguien ponderaba una cosa, ¡non si paezme a mín, que moren más castrones que Manín na nuesa aldea! Bueno pues como estoy contando, todo el lugar en pocos minutos se había enterado y en parte congregado a la salida del camino que bajaba de la montaña, ya que la muerte de aquel chivo que había ya dejado entre ellos la ya dicha cantinela, les había algunos los más envidiosos y vengatibles alegrado, y a los otros los más sentimentales y nobles les entristecía la muerte de tan comentado castrón. (También se suele llamar castrones a los chivos muy grandes). Al fin entré yo en la aldea quizás con el mayor recibimiento que jamás a nadie le hicieran, y todos atropelladamente me preguntaban lo que con el dichoso castrón me había sucedido, y yo les repetía a la par que intentaba xebrar las cabras para llevarlas a sus respectivas cuadras, que se había despeñado y que todo descuatramindáu (deshecho, desarmado) se quedara en la montaña. Un ratiquín (un tiempo) más tarde, y ya siendo casi la oscurecida, tres vecinos del lugar haciendo cuadrilla con mi amo, caminaban en pos de Pelayu y mía, otra vez camino de la montaña, para enseñarles donde estaba estrapayáu (aplastado) el chivo, con el propósito de bajarle para casa, con el fin de aprovechar su piel y carnes, que serían curadas bajo las barras del xardu (secadero) una estupendísima cecina. Llegamos a la postre ya con la noche tan negra como la boca de el lobo, al xeitu (sitio) donde el chivo fechu 'n chaceiru (hecho un deshecho) ya en el frío de la muerte sin despertarse dormía, tanto Manín que yera mi amo, como los tres vecinos que le hacían compañía, sudorosos y respirando medio ahogados por el tremendo esfuerzo que suponía subir con tanta rapidez hasta tamaña altura, sin perder un momento amarraron el animal por las cuatro patas juntas haciendo cucara (en montón, juntándolas todas) con una cuerda que para tal menester ya traían, y colgándolas de un fuerte y largo palo del que también venían poseídos, echáronselo al hombro entre dos, y con menor rapidez y mayor precaución, relevándose entre ellos conseguimos llegar sin novedad a la aldea. A pesar de ser casi la media noche, aun había algunos vecinos en reunión dentro de al parecer amena charla que quizás tuviese mucho que ver con el castrón, Manín y con mi desventurada persona, esperándonos en el lugar donde el madreñeiru trabajaba. Entramos todos en procesión rumorosa en la corralada de la casa de Manín, detrás del cabrón que colgado del baral sofitado en los hombros de dos vecinos se xiringaba (balanceaba), vigilado siempre con sonrisa ladina por mi fiel Pelayu, que comprendía que al no tardar, iba a saciarse hasta el no poder manducar más, con los rojos hígados de quien en vida, le hubiera hecho correr con cierto temor con el rabo entre sus piernas. Mientras que mi amo y sus serviciales vecinos se disponían a desfoyar (desollar) colgado de unos garfios que había debajo del hórreo al desgraciado chivo, la muyer (mujer) de Manín sin parar de condolerse, y hasta inclusive queriendo a mi endilgarme parte de la culpa, me dio de cenar una escudilla de farines (harina de maíz cocida) con una taza de leche de cabra, porque la leche de las vacas la tomaban ellos y la que sobraba la hacían en manteca, que tampoco yo nunca la probaba. Por primera vez no se hallaba sentado a mi lado sacando la lengua y relamiéndose, mirándome con sus ojos inteligentes en espera que yo le tirase delante de sus narices una cucharada de mi comida a mi fiel Pelayu, pues él sabía que al lado del castrón, tenía una fiesta grande con sobrada pitanza. Comía yo vorazmente aquellas puliendras (farinas), a tan desusada hora de la noche, sin que mi mente de pensar cesara, y antes de terminar mi miserable cena, una luz que me llenó de cierto temor en mi cerebro escendiose, para decirme con su claridad, que no iba a transcurrir mucho tiempo antes de descubrirse mi mentira, porque al esmianaye 'l pelleyu (quitarle el pellejo) al castrón, le encontrarían incrustadas en su cuerpo las postas que le habían matado, y me interrogarían sobre tal suceso, siendo yo al momento un cómplice y encubridor de la muerte del condenado cabrón, que según parecía me iba a dar guerra hasta después de ser muerto. Seguramente querrían saber el por qué les había mentido, haciéndoles creer que se despeñara, cuando a la prueba estaba que fuera abatido por un tremendo pistoletazo. Bajé después de cenar a la corralada donde los hombres andaban a vueltas en la desfoyadura del castrón, a la luz de un par de candiles de carburo y no llevarían un cuarto de hora reparándoles en su circunstancial oficio de carniceros, cuando Antonón el de la Cuandia dijo sorprendido mirando para mi amo que le alumbraba con el candil en la mano para que los otros vieran mejor en la faena que encalducaban (hacían). ¡Ah Manín, isti castrón non morrióu comu diz el tou criadín despeñáu, pos tién ente 'l coración ya lus polmanes un manegáu de postes llancades, asina que si quiés saber quién l'achuquinóu, pregúntaye 'l tou rapazacu, lu que axucedióu! ¿Qué ye lu que me tas diciendu...? ¿Quién diañus diba pegái 'n tiru 'l miou cabrón ? Antonón arrabucandu d'ente les asaures del chivu cuatru ou cincu postes que yeren de grandies comu arbeyinus rancuayus, díxole 'l miou amu metiénduyes per dellantri 'l focicu: ¡Mira Manín, ístu fói lu qu'achuquinóu 'l tou chivu! (Ah Manín, este cabrón no murió despeñado como dice tu criado, pues tiene entre el corazón y los pulmones un cesto de postas plantadas, así que si quieres saber quién le asesinó, pregúntale a tu muchacho lo que sucedió). (¿Qué es lo que me estás diciendo? ¿Quién demonios le iba a pegar un tiro a mi cabrón?). (Antonón arrancando de entre las asaduras del chivo cuatro o cinco postas que eran de grandes como pequeños guisantes, le dijo al mi amo mostrándoselas por delante de su hocico: ¡Mira Manín, esto ha sido lo que asesinó a tu chivo!). Hallábame yo detrás de ellos a media penumbra, por eso no pudieron ver cómo todo mi cuerpo temblaba, y mis mexiétchas (mejillas) se encendían como las mismas brasas cuando el viento las apuxa (atiza). Quizás si fuese a pleno día, me hubiesen sacado la verdad al descubrir yo mismo por mis síntomas externos la mentira, pero la noche, encubridora de toda claridad que profané sus negras vestiduras, me ayudó a ser firme e inamovible de mi primera mentira. Convencido mi amo de que le había engañado, acercose a mí con el candil en una mano, y llena su despreciable alma de ira, y enloquecida venganza, con la otra su mano, atizome un fatáu de morráes (varias galletas, tortas, guantazos) que dieron con mi cuerpo en el suelo, y antes de que yo pudiese huir del peligro que me rodeaba, levantome del suelo con la misma mano que tan vilmente me castigara, y a la par que alumbraba mi rostro donde la abundante sangre que manaba de mi nariz lo embadurnaba, me dijo mirándome con sus ojillos de bracu (cerdo) donde la maligua ira en un brillo salvaje se enseñoreaba: ¡Ahora mismo me vas a decir hijo de perra y de republicano asesino, que el día que asesinaron a tu padre que era lo mismo que tu un embustero y un bandido, te tenían que haber envenenado a ti, para que no pudieses hacer el mismo mal que hizo tu condenado padre, vamos, dime quién fue el que disparó contra mi chivo, dímelo pronto o terminaré contigo! Y al tenor que esto me estaba diciendo, su dura mano caía una y otra vez sobre mi rostro, y fue entonces cuando aquellos hombres de entre sus manos me arrancaron, pues al no hacerlo, quizás aquella bestia humana, que había luchado en defensa de la (PAZ DE ESPAÑA) fácil me hubiera asesinado, como seguramente acostumbrado debía de estarlo, al haber practicado tal demoníaco proceder, con otros indefensos inocentes, de los miles que asesinados fueron en Nuestra Patria, por cobardes, dañinos y miserables hombres, como lo era mi despreciable amo. Fue curado con agua fresca mi amoratado y sangrante rostro por Antonón de la Cuandia, que me aconsejaba cariñosamente, les dijese lo que con el cabrón me había en la montaña sucedido, y que no tuviera ningún miedo de contar la verdad que se buscaba, pues ella misma me protegería de quien me hubiera amedrantado para que no le delatara. Cuéntanos hijo si fueron los huidos quienes al chivo le dispararon, ya que nadie más que ellos pudo hacer tal cosa, y ten presente que si no nos lo dices ahora, mañana vendrán los guardias y ya verás cómo con ellos no puedes seguir negando. Díjele a Antonón el de la Cuandia, que yo estaba dormido, y que me desperté cuando sentí al cabrón bramar desesperado al tenor que bajaba rodando por entre los peñascos, siendo aquello todo cuanto yo había visto y oído. Volvió otra vez ya más sosegado mi amo a insultarme y amenazarme, y a la postre me ordenó que abandonara su casa, pues él no fartaba bribones que lejos de cuidar su rebaño, permitían que personas tan canallas como yo lo era se lo asesinaran. Marcheme de aquella casa de noche, maltrecho mi cuerpo y deshecha de sufrimientos mi infantil alma, sin más pertrechos que los que llevaba a costillas, que eran los únicos que poseía, y que constaban de un mono de caqui hecho de la guerrera de un soldado, con más remiendinos que de plumas tiene una gallina y de todos los colores que imaginarse puede, calzado con unas alpargatas de esparto donde los calcaños se asentaban en el suelo y los dedos lo mismo hacían por no quedar de las alpargatas nada más que la parte del centro. Por primera vez desde hacía varios meses que Pelayu era o mejor dicho había sido compañero inseparable de hambres y fatigas, de juegos y caricias, de largas soledades entre ambos repartidas, por primera vez digo, mi fiel compañero ya no me seguía, me traicionaba el muy ladino por unas piltrafas que de vez en cuando aquellos hombres que carniceraban en el cabrón, le arrojaban en el empolvado suelo de la corralada, para él valía en aquellos momentos más la asquerosa pitanza, que todo el cariño que yo pudiera brindarle, ya no se recordaba el muy desagradecido de que yo repartía con él a partes iguales la escasa comida que para mi sólo me entregaba el llabascón (cerdo grande) de mi amo, en una palabra, Pelayu era un desagradecido y egoísta, propiedad que en mayor o menor cuantía, va fusionada en el instinto de todo ser mamífero de la Tierra. Llegué aquella primera noche de mi vida, que había sido maltratado, insultado, golpeado, pisoteado, arrastrado y ofendido a tan gran profundidad y altura, que dudo que a mis años en todo el mundo, a nadie le hubiera sucedido tan inhumana atrocidad, cuento yo, que hice mi entrada en la casa de mi madre, que en la sazón se encontraba trabajando en una alejada aldea, en el caserío de otra viuda que su marido había sido asesinado en el cementerio de San Salvador de Oviedo la misma noche y en el mismo paredón que fusilaran a mi padre, así pues, hallábame yo sólo en casa y eso enormemente en aquellos momentos me alegraba, pues si mi madre hubiera estado en la casa, le haría sufrir aviñonándome yo de pena, y quizás ocurriesen peores cosas, ya que mi madre era, y aun sigue siendo, y Dios me la conserve muchos años, pues fue lo mejor y lo único que he tenido en mi existencia, mujer de duro carácter, intrépida y valiente hasta no tener el más pequeño temor, de pelearse ella sólo contra todos los moradores de la aldea. ¡Cómo mi madre, nacen en un siglo pocas mujeres! Al día siguiente que era domingo, y por tener en la parroquia a que pertenecía mi aldea, un cura que para demonio había nacido, ya que el muy condenado había conseguido de las autoridades una ley, que no se quién se la había fabricado, pero el caso es que existía, y condenaba a todos los vecinos a oír la Santa Misa, y a no trabajar ni en las tierras, ni en los prados, ni en nada, bajo pena de una multa que la ley considerara justa por ser injusta. Como yo ya no tenía trabajo, pues cuidar los ganados estaba permitido, y aquel gochu de mi antiguo amo desde aquel día tendría que hacer el trabajo que como un miserable esclavo yo le hacía, me levanté tarde del único xergón de fuéa (jergón de hoja) que en la casa había, que lo había industriado de unos sacos, porque todo cuanto poseíamos que era bien poco, al terminar la guerra el honrado vencedor nos lo había robado, y no contentos con esto, todavía fusilaron a mi padre, acusándole de haber robado grandes cantidades de dinero, de haber hecho esto, lo otro, y lo demás allá, y todo porque se le querían cargar cuatro caciques, como se ha hecho en todos los lugares de mi Patria buena. Noté que me dolía el rostro y que le tenía ensangrentado, no pude mirármelo al espejo. porque éste era un lujo que en mi casa no existía, así pues, me fui hasta el río que por detrás de mi casa pasaba, y me lavé como mejor pude, secándome después a las sucias y ásperas mangas de mi mono, y sin desayunar nada, porque en la casa no habla ni la más mínima consolación de comida, me dirigí a oír la misa, ya que yo de pequeñín era muy creyente y religioso. Estando yo enredando (jugando) con algunos otros guaxinus (niños) de mi aldea, en espera que tocase la última campanada para entrar en la iglesia, vi llegar la pareja de la guardia civil y un vuelco de temor revolvió mi ánimo, que casi consiguió ordenarme que saliese corriendo, huyendo pronto de aquel nuevo peligro que me acechaba. Sin embargo no lo hice, porque o no era lo suficientemente valiente, o lo necesariamente cobarde para hacer tal cosa, lo cierto es que cesé de jugar y me quedé mirando para ellos, lleno de temor, de tristeza, de pena. Preguntaron a alguien quién era yo, uno de mis vecinos me señaló, entonces los guardias me llamaron, y yo hacia ellos avancé, cabizbajo, temeroso y desamparado, igual los niños que los vecinos me miraban sin urniar (decir) palabra, muy posible muchos de ellos, tanto fascistas como rojos, vencedores o vencidos, sintiesen una profunda pena al ver aquel niño, desventurado e inocente ruina que dejó la vil venganza de la posguerra, avanzar sin protección ni cariño de nadie hacia los guardias, al fin llegué junto a ellos y me los quedé mirando, no me gustaron sus rostros, que me parecieron dos demonios, entrambos se quedaron mirando unos momentos en silencio mi rostro, en el que se podía leer la despreciable cobardía y nefastosas intenciones, que se enraizaban en el podrido sentimiento de mi amo, pude comprobar que esbozaban una tenue sonrisa, y no pude descifrar, si era que les alegraba observar el sello del martirio anclado en mi cara, o si por todo lo contrario, me dedicaban un consuelo de lastimosa consideración. Qué enano era yo físicamente en aquella lejana y para mi inolvidable, desgraciada y maestrosa mala época, si desde mi distancia también en el momento mi señora prisionera, proyectó mi mente siempre libre, como el misterioso dios que en cada mente humana vive, cuento yo que si me observé ante toda aquella gente, asustados los unos, hartos de maltratos, satisfechos los otros, por formar parte del mando, e indiferentes los restantes por no contar nada en ningún bando, digo que si me vi tan insignificante en mayor cuantía todos cuantos me rodeaban eran, ya que ninguno de ellos optó, en defender a un niño inocente y lleno de temor, que no había cometido más delito que el matar sin querer a un chivo, que era menos cabrón que todos aquellos papalbus humanos. Uno de los guardias con el mosquetón en la mano, me acarició mi corta y jamás peinada cabellera, pues nada más que tenía dos dedos de larga, mi madre me la rapaba al cero para que los abundantes piojos en ella no sembraran la descendencia de sus miserias, y a la par que esto hacía tan despreciable celador de una ley muy poco justiciera, con palabras que pretendían ser cariñosas y amables me dijo: —Ya veo por las caricias que luces en tu rostro, que con todo merecimiento y sin ninguna duda el señor Manín te ha hecho, que eres un niño rebelde, desobediente y malo, que te niegas a decir la verdad, y por lo tanto por todos estos endemoniados pecados irás al infierno, así es, que si ahora mismo no me dices quién fue el que disparó contra el chivo de tu amo, yo también tendré que castigarte. En esto estábamos el guardia y yo rodeados por los vecinos que no decían ni pío, cuando hizo acto de presencia el señor cura, que relevando a la autoridad de su palabra no así de mi persona, me aconsejó apoyando sus frases en la Divinidad de Señor, para que les contase la verdad que me liberaría de todos mis sufrimientos. Díjele al cura lo mismo que al guardia que yo estaba dormido, y que sólo me había despertado al oír al chivo berrar a la par que bajaba por entre los peñascos rodando. La ruda mano de aquel guardia, que seguramente había sido toda su vida un rústico campesino y que la guerra le había liberado de tan honrado lugar para colocarle en el más delicado de los oficios, como es el de servir con dignidad a la Justicia, cuento yo que aquella pesada mano de aquel hombre que pensaba que las personas había que tratarlas como a las bestias con las que él hubiera vivido siempre, dejó de acariciar mi cabeza y sus dedos se aferraron como si fuesen fuertes murgazas (tenazas) a una de mis uréas (orejas), y sonriéndose como si me estuviese el muy hipócrita acariciándome, a la par que me rogaba que le contase la verdad, me apretujaba con tal fuerza, que el dolor que me inyectaba me hacía ver todas las estrellas. Creo que lo que más le molestaba aquel cobarde representante de la ley, no de la Justicia, era que yo, que la vida ya me había forjado en saber llevar el sufrimiento, ni llorara, ni gritara ni menos me quejara de nada, por eso el infame seguía despiadamente con todas sus fuerzas apretándome, aun es hoy el día, que cada vez que me recuerdo de aquel momento mi oreja se pone tan rápidamente colorada, que hasta me molesta el calor que alumbra. Así en este atroz sufrimiento yo me debatía, sin que nadie de los allí reunidos por mí intercediera, dentro del horripilante dolor que me producía aquel estrapayáu d'uréas (retorcimiento, aplastamiento de orejas), cuando llegó mi madre ante la concurrencia, pues como era domingo, bajaba la pobre de aquella aldea donde toda la semana había estado trabajando, trayendo encima de la cabeza una manieguina (cesta) llena de viandas que en el caserío le habían dado a cuenta de su esfuerzo. Cuando mi madre me vio a mí, en tal escarnecimiento, tiró la manieguca al suelo, y llena de una fuerza airada que la multiplicaba, se acercó tan randa como una centella hasta mi verdugo y arrancándole el mosquetón de un fuerte tirón de entre su mano, le pegó con él tamaño golpe encima de sus costillas, que dio con él como si se tratara de un muñeco de trapo en tierra. Antes de seguir con esta cierta historia, voy hacer un inciso, para describir muy someramente cómo era mi madre en aquella época. Era joven, aun no llegaría a los cuarenta años, y a pesar de su juventud, ya había perdido la pobrecita dentro de los mayores sufrimientos que se puedan imaginar, a dos hijos que luchaban en la guerra, a su marido que fuera fusilado y a todo cuanto poseía. Mi madre como perteneciente a la más ancestral raza astur, era rubia, con el pelo del color de la miel, o de la escanda sazonada, tan abundante lo tenía, que cuando lo llevaba suelto y se acuruxaba (agachaba) le tapaba todo su cuerpo como si lo cubriera con una preciosa manta. Sus ojos eran a veces tan azules como el transparente cielo de una mañana de primavera, y en ocasiones eran tan verdes como los mismos campos de nuestra aldea. Era tan pura y recia como la misma madre naturaleza, inamovible en sus decisiones, honrada y justiciera. Era una auténtica astur procedente de la primera raza que pobló las ubérrimas montañas de mi noble tierra, y no una mistificación como somos hoy en día más del noventa por ciento de las gentes asturianas, enraizados con todos los colonizadores de nuestra tierra. Mi madre enojada era una invencible fiera, y tranquila y serena, era tan hermosa y dulce como incomparablemente lo es mi asturiana tierra. Y ya dicho con suficiente claridad como era esta excepcional mujer, vuelvo a centrarme en el desaguisado que mi madre justicieramente preparara, con una valentía y decisión tal, que dejó a todos perplejos y anonadados, pues el guardia que en posición ridícula espanzarrado moraba en el suelo, desde tal lugar miraba con ojos desorbitados a mi madre que con el mosquetón en la mano y a la par que se lo arrojaba con fuerza y mala sangre contra su pecho le decía: ¡Yes un llimiagu, lu mesmu que toes istes xentes que conxentíen, qu'dellantri de la mesma ilexia del Faedor, y'en prexencia d'isti cura escosáu de coyones ya xusticieres razones, lú mesmu que tous vuexotrus que sois una cabaná de baldreyus, que tu que yes un cachiparru, martirizares a isti nenín pequenu, ya s'ístu faedis con miou fíu qu'entavía 'l probitín non sabe dúnde come, ¿qué faeredis con les prexones mayores? (Eres un rastrero baboso, lo mismo que todas estas gentes que te consienten, que delante de la iglesia de Dios y ante la presencia de este cura que no tiene ni cojones, ni justicieras razones, lo mismo que todos vosotros, que no sois nada más que un rebaño de cobardes, que tú que no eres nada más que un parásito martirizaras a este pequeño niño. Y si esto haceís con mi hijo, que todavía el pobrecito no sabe de dónde come, ¿qué hareis con las personas mayores...?). El otro guardia que sin lugar a dudas parecía un hombre con mejores sentimientos que el gusano que me había martirizado, intentaba sujetar a mi madre propinándole palabras que le aconsejaban que no complicara más las cosas, mientras que su repugnante compañero se levantaba del suelo, y ya con el arma entre sus manos, la enarboló por encima de su cabeza en amago de dejarla caer encima de mi madre a la sazón que con una inquina maligna y cobardosa le decía: ¡Si fuese usted un hombre, ahora mismo le partía la cabeza en dos para que al final de su existencia comprendiera usted, que el deber de todo ciudadano es respetar a la ley! A lo que mi madre le respondió de la siguiente manera: —Si you fora un home, a usté había qu'allevantalu dóu tá, p'ancuandiálu debaxu tierra, que ye 'l llugar quéi cuerresponde a la xentuza baldreyante comu ye usté. Ya tocante a la ley que reprexenta, que ye tan betchá de maldáes comu usté mesmu, pásula you ya toes les prexones decentes pente les piernes ya mexamus per echa. ¡Perque isa lley que tantu cacaréa achuquinóu ya t'achuquinandu a fatáus d'iñocentes, sin respetar nin al vietchu que t'encantu la xepoltura, nin al xoven qu'entavía non golióu 'l tafu de papalbus ya rapiegus que tienen tous los comedores que la endubiechan y'esmarachen! (Si yo fuese un hombre, a usted había que levantarle del lugar donde se encuentra para enterrarle bajo tierra, que es el sitio que le corresponde a la gentuza cobarde como lo es usted. Y tocante a la ley que tanto cacarea, que está tan rica de maldades como usted mismo, la paso yo y todas las personas decentes por entre las piernas y meamos por ella). (¡Porque esa ley que usted representa, ha asesinado y está asesinando a muchos inocentes, sin respetar ni al viejo que ya se encuentra al borde de su sepultura, ni tampoco al joven que todavía no se ha olido, el característico mal hedor que emana de los comedores, indeseables y ladrones que la han hecho, así como ustedes que atropelladamente obligan a punta de pistola y látigo a que se cumpla!). Aun puedo ver en los rostros de todas aquellas gentes que nos rodeaban, desde esta asquerosa celda donde viviendo el presente que me aprisiona en esclavo de unas injustas ordenanzas, mi mente desdoblándose en dimensiones pasadas, añora con tristezas y alegrías, las primeras alumbradoras fuentes de toda mi desgracia. Sí, veo los ojos asustados de algunos de mis convecinos, que al escuchar aquellas graves y acusadoras palabras que mi madre airada, enloquecida y por toparse en su justo desquiciada, le decía a aquel guardia que tan cobardemente la amenazaba. Sí, veo como todos ellos con tristeza pensaban, que mi madre no iba a salir de aquel asunto bien librada. Pues en aquellos tiempos por menor delito, al paredón de fusilamiento llevaban a personas más recomendadas. Vi los ojos de aquel guardia ruin y rastrero, vilos cómo se llenaban de una alegría satánica, quizás en otras ocasiones ya por él vivida, cuando a tantos inocentes martirizaba o asesinaba. Vi cómo dejó de amenazar a mi madre, cómo colgó el mosquetón de su hombro, y metiendo la mano sonriendo canallescamente en su macuto, sacó unas relucientes esposas con las que se disponía a encadenar a mi madre en el lleldar (acaecer) que le decía: —La voy a llevar a usted y a su hijo detenidos hasta el cuartelillo, y allí, le enseñaremos a usted a respetar la ley y el orden, ya verá usted cómo cuando nosotros la dejemos, no se le ocurrirá jamás ofender a la ley y al régimen, ni aun en su propio pensamiento. Y en cuanto a su cachorro, que parece ser tiene su misma casta, también le enseñaremos a decir la verdad aunque tengamos que arrancarle la lengua. Fue entonces cuando uno de los dos principales caciques de la aldea, que también ye menester que cuando encarte les diga cómo eran, le dijo al guardia con palabras amenazadoras: ¡Dexe tranquíl ista muyer ya 'l sou fíu, pos güéi mesmu vou cuntaye you 'l sou xefe la clás de guardia que ta fechu. (Deje tranquila a esta mujer y a su hijo, y hoy mismo le voy a contar a su jefe la clase de guardia que está hecho, que se ha dejado desarmar por una mujer cuando cobardemente usted martirizaba a su hijo, poco puedo poder yo si no le hago catar covixu noitre ufixu (oficio), perque nisti de guardia paeme amindi que nun ten llixa (arte, valer, etc.). La fuerza y poder que tenían aquellos desalmados caciques en aquellos tiempos de desalmados vivires, achindi mesmu xuntu lus mious güétchus (allí mismo frente a mis ojos) quedaba bien claro, porque aquel guardia aviñonáu de miéu (lleno de miedo), se justificaba rastrera y servilmente pidiéndole perdón aquel hombre que no había sido en toda su vida nada más que un verdadero canalla, per ístu miou má noxá fasta cuaxí la llocura dista maneira le falóu (por esto mi madre enojada hasta casi la locura de esta manera le habló). —Lu que me faltaba per uyír, que tena que debéi cumplíus a isti baldrayu d'achuquín, que dexóu la nuexa 'ldina xemá de güerfaninus dexamparáus de la mán del Faidor ya de lus homes. (Lo que me faltaba por escuchar, que tenga yo que deberle favores a este cobarde de asesino que dejó la aldea sembrada de huérfanos desamparados de la mano de Dios y de los hombres). ¿Nun foste tóu sou banduerru de lus enfermus el que denuncióu 'l miou home paque me l'achuquinaren na cárxel d'Uviéu? (¿No has sido tu comedor, canalla de los infiernos el que ha denunciado a mi marido para que me lo asesinasen en la cárcel de Oviedo?). ¿Ya con lus fíus de Manolón el Gocheiru...? ¿Qué foi lu que fixiste conechus baldrayán? Que yeren un par de rapazus más bonus qu'el pan d'escanda qu'enxamás fixerun mal a naide, ya cundu taben per aquíndi de millicianus, ya tóu t'encovaxabes fugáu per les branes, tóus xapiemus na cabana que t'empayaretabes, ya tantu nuexóitres perque yeras veicín comu aquechus ñocentinus rapazus qu’achuquinasti deximiémuste xempre pa que nun te prendieren. Que fatiquinus forun lus probetayus rapazus, y'anxín pagarun con las sous vides les sous fatezas, pos se te viexen deñunciáu, nistes gores tabes fechu 'n meruxéiru de merucus, xustamente lu que yes, y'echus taríen vivus al lláu de lus sous pás. (¿Y qué has hecho con los hijos del Cerdero?, que eran un par de mozos más buenos que el pan de escanda, que no han hecho más mal los pobrecitos, que cuando fueron al servicio militar por la quinta; y estuvieron por estos contornos de milicianos, mientras que tu andabas por la braña huido, y sabiendo nosotros en la cabaña donde te refugiabas, no te hemos denunciado porque eras nuestro vecino, aunque tuvieras la idea política que te diera la gana, que no debe de ser ninguna, porque te parió tu madre canalla desde la entraña, pues como te estoy diciendo, tanto aquellos grandes rapazos como nosotros, te olvidábamos siempre para que nunca te cazaran. ¡Qué tontos fueron aquellos pobres y desgraciadinos muchachos, y así pagaron con sus vidas sus tontezas, pues si te hubiesen denunciado, a estas horas, tu estarías hecho una verbena de gusanos, que ni más ni menos es lo que eres, y ellos estarían vivos al lado de sus desesperantes padres!). Todos escuchaban a mi madre silenciosos y asustados, considerando algunos con tristeza, que mi madre se había vuelto turulata (loca) para atraverse a manifestar acusadoramente ante los guardias, el cura y el pueblo, lo que todas las gentes de la aldea sabían que era cierto, pero no se detuvo mi madre en el acuse que le hacía aquel villano de todas sus bellaquerías, pues al no encontrar nadie que la importunara, siguió con su palabra y con igual fuerza mortificándole de esta manera: —E nus tiempus d'endenantes, cundu lus roxus mandaben lu mesmu que vuexotrus facedis nagora, non trañia l'esquilona de l'ilexa p'axuntanus en conceyu p'uyír la misa tres el cura, perque pieschada taba la casa del Faidor, ya con lus curas lus roxus nagua querían, peru a pesar de tar tan lexus del Faidor, a naide s'achuquinóu n'aldea, ya se morrierun un par de rapazus, fói nel frenti, peru nagora que tenemus l’ilexa 'l entestate, y'un cura que coyius de la man quiér chevanus a tóus pel atayu de non sei que Dios, ya non sei que cielu, pos con tou isti telar, entremedáu de cures, ya caciques comu lu yes tóu, de confexones, mises ya xermones, achuquinasteis n'aldea 'n poucus dies, más xentes que de mala manera, enxamás de lus xamases en Asturies murrierun. Se tóu xupiés so lladrón achuquinante, lu mesmu que toes istes xentes que m'acorrelan, lu que you tenu xufriu nes comunicaciones de la muerte que se encaldaben na cárxel d'Uvieu, dúnde 'l miéu ya 'l espavoríu facien fuercia, únde 'l fríu enxenebráu la entraña te queimaba, únde les chárimes esbocáes en el glayíu xapoixaben, atristeyáus ya dollores qu'eszarapicaben, tous lus xentíus de cuantus escuchaban. Non puéu apoixar de mious videtches, lus güeyus enfervecíus de aquechus homes, qu'agoxáes allumbraben engafuráes chárimes, con les manes tembluqueántes per el miéu, acoyendu con desesperación las rexes de fierru, que non lus dexaben en postreira vez, abrazar a la sou muyer ya lus sous fíus, qu'ameruxáus de cariñu, ya betcháus de dollor, choraben ya glayaben, xiringáus per el amore que profexaben naquel home, que yera 'l pá de lus fíus, el mantín desous quereres, y’l caidonal del sou llare. Naide algamía per mor de aqueches rexes de fierru entemedades, falagar cómu postreira despedida, a la muyer nin al home, nin lus pequeninus fíus, que güerfaninus naquecha nueche diben quedaré, perque banduerrus baldreyus lu mesmu que tóu, lus deñunciaben y'acusaben de faer fatáus de couxes, que ni nel xoñéu lus probetayus dacuandu lleldaren. Tóus nun mirabamus atristeyáus per debaxu la borrina qu'acobertoriaba lus güeyus encarnispáus pe les chárimes, ya lexus de falanus tantes couxes, nel tiempu tan escosu que nus daben, esfaíamonus en playíus choramiqueirus llastimeirus e nes fanes más mortales. Enclicáus tous per un dollor que nes entrañes esquiciáu t'esgarduñaba, tabamus fatáus de xocenes muyeres que güéi toes viudes y'esgraciaínes semos, enlloquecides y'engarrinchades a les rexes que a la llibertá ya la xusticia trincotiaben. Nagua podiamus decinus, perque la pallabra afogábase na conguetcha qu’el alma esfaída pe la tristieza sacupaba, sous penares nel gargüélu, a munchus el dollor añuedábayes el celebru con tal prietura, que esmurgazábanse col xentíu perdíu nel enllabanáu xuelu. Alcuérdume comu s’agora mesmu fora, ya xamás de lus xamases tal desxusticiáu, endiañáu, baldreyóuxu ya chuquinamientu de xentes abondes d'eches tan iñocentes comu isti rapacín, que la mesma lley qu'achuquinóu a suo padre, martirizóulu a él, ante 'l cura, que mangonéa la mitá la aldea, y'isti banduerru de cacique dumeña entrambas partes, ya tous voxoutrus qu'empaparáus per el miéu, olvidósebus defender tou lo güenu per lu que lus vuesus homes llucharun ya morrierun ¡Sin alcuerdume d'aqueches canallesques comunicaciones que se lleldaben na cárxel d'Uvieu, ya non esborraránseme de les mious vidatches metantu que la vida me acompañe! (En los tiempos ya pasados, cuando los rojos mandaban lo mismo que vosotros hacéis ahora, no tañía la campana de la iglesia, para llamarnos y rejuntarnos a todos en fraternal comunidad, para escuchar la misa detrás de un cura, porque cerrada estaba la Casa de Dios, y con los curas los rojos no querían saber nada. Pero a pesar según parecía de que se encontraban muy lejos del Hacedor, a nadie asesinaron en la aldea, y si han muerto un par de jóvenes, ha sido luchando en el frente. Sin embargo ahora, que tenemos la iglesia siempre abierta y un cura que asidos de la mano, quiere llevarnos a todos por el camino más corto para alcanzar, no sé a qué dios, ni tampoco a qué cielo, pues con todos estos sucederes que ahora están pasando, entretejidos por los curas, y por caciques como lo eres tú, de confesiones, misas y sermones, habéis asesinado en la aldea en pocos días, más gentes que de mala manera, jamás de los jamases no contando estos tiempos, en todo Asturias han muerto. Si tu supieras so ladrón y asesino, lo mismo que todas estas gentes que nos rodean, lo que yo he sufrido en las famosas comunicaciones de la muerte que se hacían en la cárcel de Oviedo, donde el miedo y el pavor, hacían fuerza, donde el helado frío que el temor producía, al mismo tiempo las entrañas te quemaba, donde las lágrimas deslocadas en gritos lastimeros se posaban, haciendo tristezas y dolores tan inmensos, que despedazaban todos los sentidos de cuantos escuchaban. No puedo apear de mi cerebro los ojos enardecidos de aquellos hombres, que a cestadas alumbraban envenenadoras lágrimas, y con sus manos temblorosas por el miedo, cogían con desesperación las rejas de hierro, que les prohibían por última vez, abrazar a sus mujeres e hijos, que llenos de cariño y ricos de dolor, lloraban y gritaban desesperadamente, movidos por el amor que profesaban a aquel hombre, que era el padre de los hijos que quedarían ya para siempre desamparados, el amante esposo de sus quereres, y el fuerte guía de sus lares. Nadie alcanzaba por la causa de aquellas rejas de hierro fuertemente entretejidas, halagar como última despedida, a la mujer ni al hombre, ni a los amados y pequeños hijos, que huerfanitos aquella noche si iban a quedar, porque indeseables cobardes lo mismo que tu eres, les habían denunciado y acusado, de haber hecho muchas y malas cosas, que ni en el sueño los pobrecitos, jamás ni habían pensado. Todos nos mirábamos entristecidos, por debajo de la niebla que nublaba los ojos enrojecidos por las lágrimas, y lejos de hablar de tantas cosas en el tiempo tan corto que nos daban, nos deshacíamos en lamentos lastimosos, que nos precipitaban en los abismos más mortales. Agachados todos por un dolor que en nuestras entrañas enloquecido sin piedad las arañaba, estábamos en aquella triste ocasión, muchas jóvenes mujeres que hoy todas viudas y desgraciadas somos, enloquecidas y agarradas con desespero a aquellas rejas, que a la Libertad y a la Justicia pisoteaban. Nada podíamos decirnos, porque las palabras ahogábanse en la garganta, que el alma deshecha por la tristeza, vertía en ella sus penares. A muchos el dolor les aprisionaba el cerebro con tal fuerza, que se desvanecían privados del sentido entre las losas que poblaban el suelo. Recuerdo como si ahora mismo estuviese sucediendo, y nunca jamás, tal injusticia, endiablada cobardía, y canallesco asesinamiento de gentes, muchas de ellas tan inocentes como este pequeño, que la misma ley que asesinó a su padre, le está martirizando ahora, precisamente ante la presencia del cura, que es el dueño de la mitad de la aldea, y de este indeseable de cacique, que domina entrambas partes, y de todos vosotros que llenos y dominados por el miedo, os olvidasteis de defender todo lo bueno y hermoso, por lo que vuestros hombres lucharon y murieron). (¡Sí recuerdo aquellas canallescas comunicaciones que se hacían en la cárcel de Oviedo, y que ya nunca podrán borrarse de mis sienes, mientras que la vida me acompañe!). Recuerdo perfectamente cómo todas aquellas gentes escuchaban a mi madre entre asombrados, y compasivos, entre temerosos avergonzados y ofendidos, y quizás hubiesen escuchado muchas más injusticias que habían hecho no los caballeros y valientes soldados, que denodadamente lucharon hasta conseguir la victoria, ni tampoco las juventudes que militaban en el partido triunfador, sino las gentes maduras, caciques que habían conservado la vida en entrambos bandos, que llenas de un odio vengativo y endiablado, habían hecho ellas más muertes criminales en la paz de la posguerra que todos los leales luchadores de enemigos bandos. Digo yo que mi madre con su cordura de mente les hubiese seguido acusando, si el cura, muy oportuno y diplomático, como son todos los religiosos de carrera larga, no se ausentara sin decir palabra, y ordenara al sacristán que tocase la última campanada, para entrar a la iglesia con el fin de escuchar la misa. Y ahora diré, que mal dicho está que yo diga que el sacristán tocase la campana, porque no había tal campana, ni en la iglesia de mi aldea ni en ninguna otra en todo el valle, ya que los rojos, se las habían llevado todas, no sé con qué fin ni propósito, como tampoco puedo comprender porque quemaban los santos que jamás les harían ningún daño, y dejaban con vida a indeseables como los caciques asesinos de mi aldea. Lo cierto es, que como campana de la vieja iglesia de mi aldea, había un trozo de raíl colgado del pórtico con una alambre, donde aporreaba el sacristán, con un martillo medio deshecho de los de cabruñar la guadaña. Nada más que el toque comenzó hacerse sentir, fueron las gentes desfilando tras la llamada de la postrera campanada, sin que nadie se osara replicarle a mi madre ni tan sola una palabra, bien fuese de desagrado o de conformidad con cuanto había enardecidamente manifestado. Todos se adentraron en la casa del Señor donde yo creo, que si el Nazareno pudiese apoixase (apearse) de la Cruz, no dudo que a todos ellos una tocata de barganazus les esfargayara. (Paliza de palos que en ellos prodigara). Dejó mi madre de reñir a voz en grito, pero siguió haciéndolo muy quedadamente, a la par que con gran remango recogía su cesta, que colocándola esta vez debajo el brazo, nos encaminamos para nuestro lar, mientras que aquellas gentes, culpables unas e inocentes las otras, le rogaban a Dios, los unos por sus pecados monstruosos ya cometidos, que en El no habían pensado cuando los ordenaban, los otros, quizás le pidieran paz y prosperidad para ellos, sus cosechas y ganados, pero Dios no escucharía ni menos ayudaría, ni al pecador tal vez arrepentido, ni al inocente libre de pecado, y lo sé por propia experiencia, porque yo, tantas veces le he llamado, suplicado y rogado, siempre a cuestas con el temor, la miseria y el desprecio que el mundo en mi había sembrado, y jamás El se dignó ni tan siquiera escucharme, porque si me hubiese escuchado, y no remediara con prontitud ni nefastoso sufrimiento, yo diría ya sin el menor equívoco, que el Dios que todos tememos y adoramos, no es nada más que un diablo. Y esto sin lugar a dudas es así, porque Nuestro Señor está harto de nosotros hasta la misma coronilla, y por eso pensó ya en inmemoriales tiempos, que o liquidarnos a todos, y olvidarse sin pena y con prontitud del mal invento que había industriado, o dejarnos vivir a nuestro aire, sin preocuparse ya para nada de nuestros haceres, hasta que la muerte nos lleve a su presencia. Caminaba yo detrás de mi madre, sujetándome con la mano mi dolorosa y sangrante oreja, que más doloroso sufrimiento me había reportado, cuando aquel imbécil y canalla de guardia me la había retorcido, que si me hubiesen molido todo mi cuerpo a palos. Llegamos a la postre a nuestra humilde casa, y siempre sin parar de reñir mi madre, de maldecir y de amenazar, estongóu 'l llar (limpió la cocina) de añejas cenizas, y con la rapidez con que ella solía hacer las cosas, tizóu ‘l fuéu (prendió el fuego) y después, puso un cazo lleno de agua con sal y unas hierbas (que ahora no sé cómo se llaman, pero que son muy buenas para las heridas) a hervir, y mientras que hervía, s'encaldóu nel trabayu de pulgar patacas (se hizo en el trabajo de mondar patatas), de las que había traído de la aldea de donde venía. Cuando el agua estuvo en su punto, que fue en el momento que ella terminara de aliñar las patatas ya listas para ser fritas, se dispuso mi madre a curarme, y al tenor que lo estaba haciendo, y viendo yo en su rostro retratado el cariñoso sufrimiento que por mí sentía, ella como siempre intentando disimular toda emoción, me preguntó dando muestras de un enfado cariñoso, ¿que qué era lo que había sucedido, o en qué líos me había yo alojado, para que los guardias me hubiesen puesto el rostro como un Ecce Homo? —Díjele a mi madre que el guardia no me había hecho nada más que estrapayáu l'uréa (deshecho la oreja), y que las otras heridas me las proporcionara el amo Manín, por las causas del condenado cabrón que ustedes ya saben. —Vi cómo las recias manos de mi madre temblaban al tenor que a mis heridas con aquella agua milagrosa me lavaba, sentí cómo su voz enardecida juraba y perjuraba contra aquel Manín de los infiernos, al cual ella decía, le iba a colgar la foiz (hoz) del pescuezo. Dio por terminada mi cura y en instantes me preparó la comida, que consistía en un buen cazo de patatas fritas con grasa de tocino, un gran cantezu (pedazo) de pan de escanda, y un escudiecháu de lleiche con borona (taza de leche con pan de maíz), y ya fartuquín fasta ‘l rutiar (harto hasta el eructo), preguntele que si podía ir a dar una vuelta por la aldea, a lo que ella me respondió afirmativamente, recordándome con amenazas, el que non m'engarricra con lus oitres rapacinus. (Que no me pelease con los otros niños). Cuando me dirigía al lugar donde todos los chicos por costumbre teníamos de reunirnos para enredar (jugar), en una de las callejas de mi aldea, me topé con Pelayu, que seguramente habría abandonado a su amo en el monte, por el extraño de no verme a mi como sucedía siempre. ¿Porque qué animal o persona con sentimientos nobles y cariñosos, podría vivir en la soledad del monte en la compañía de una repugnante bestia, como lo era Manín nuestro amo...? Viome primero Pelayu que yo a él le avistara, y casi estoy por asegurar, que me había olfateado antes de que yo desembocara en la calleja, donde él buscándose la vida por todos los rincones husmeaba. Porque yo jamás había visto a Manín, darle al pobre de Pelayu de comer nada, ya que Manín solía decir dándoselas siempre de razonero eficiente, que el perro no se le podía dar la esllaba óu llabaza de fregar lus cacíus (las aguas sucias residuos de lavar los cacharros de la cocina) porque estaban los bracus na cobil urniándu per llapalas (cerdos en el cubil gruñendo por tomarlas), que al perro lo único que se le podía dar, era aquello que no tuviese aprovechamiento para nada, como les llixes de les vaques cundu betchaban, de las uvées ya les cabras, óu cuallesquier oitra molicie que paque nún fediera menester yera encuandiála (como las libraduras de las vacas, de las ovejas y las cabras cuando parían, o cualquier otra porquería que para que no oliese mal, fuera necesario enterrarla). Vino Pelayu hacia mí envuelta su alma perruna por una gozasa alegría, pero me di cuenta con pena profunda, que no hacía tal acercamiento dentro del desenfado y gracial camaradería que en todas las ocasiones él conmigo usara, pues por primera vez mi buen Pelayu, para acercarse a mí, rastreramente se arrastraba, no era por el miedo de que yo le apaleara, ya que jamás ni de palabra le había ofendido, era sin duda porque se sentía muy avergonzado de haberme abandonado la pasada noche, cuando tan triste y solo me encontraba, y quizás más le necesitara. ¡Pobre Pelayu! ¡Qué alma más humana tenía, y a cuántos humanos, el alma de los rabiosos perros les dirigía! Me agabuxé (agaché) a su lado, envuelto yo por una sana, jovial, y angelical alegría, le besé su rostro varias veces entusiasmado, y acaricié con gozo su fino y sedoso cuerpo, y olvidándonos entrambos él de su cobardía y yo del rencor que pudiera por su gesto guardarle, nos fusionamos en un abrazo risueño y cariñoso, donde él dando pequeños ladridos por los que manifestaba su alegría y pena, me lamía una y mil veces las heridas que adornaban mis mexietchas (mejillas), y quizás se estuviese jurando, que aunque le costase la vida, nunca de mi lado se alejaría. Toda aquella tarde, estuve jugando al «llanque» y a la «palombietcha» con el único amigo de verdad que en la aldea tenía que se llamaba Muel. Pobre amigo mío, murió cuando apenas tenía veintiocho años, reventado por el más duro y esclavizante trabajo, que desde su niñez y en mi compañía, fustigados por el hambre y la necesidad, entrambos y dos a las severas órdenes de su padre, como serradores en casi todos los montes de mi Asturias, habíamos llevado a cabo, al final, su cuerpo ya deshecho, explotado y gastado, fue consumiéndose en la triste soledad del sanatorio del Naranco, donde murió devorado por una tisis galopante. Tenía Muel dos o tres años más que yo, y sin embargo éramos los dos de la misma estatura, y empezamos a serrar madera manualmente los dos en el mismo día, teniendo yo en la sazón, tan sólo trece años, fue nuestro maestro su propio padre, y nos trataba como nadie se puede imaginar, ya que no había día, que no nos untara ‘l focicu (nos azotaba) por lo menos un par de veces. No es que aquel hombre y excepcional trabajador fuese malo, no nada de eso, es que el pobre precisaba por fuerza mayor, para poder desarrollar el duro trabajo del serrador, que nosotros hiciésemos el trabajo de hombres y no éramos nada más que dos niños. Digo yo que aquella tarde, le conté a mi amigo Muel, como había encontrado en la montaña la cueva de las armas, y así hablando de nuestros proyectos, acordamos que al día siguiente subiríamos hasta ella, para jugar hasta cansarnos con aquellos juguetes de verdad. Así es que a la oscurecida retornamos cada uno para su casa, saboreando por adelantado lo felices que al día siguiente habíamos de ser. Caminaba en pos de mí, tan contento y satisfecho como siempre mi buen Pelayu, sin preocuparse para nada de que él, era un esclavo de Manín, y no un ser libre que pudiese hacer lo que más le conviniese, pero al llegar a la esplanada donde asentada estaba la bolera, lugar clave donde se reunían todos los vecinos de la aldea, después que concluían sus trabajos, bien fuese para charlas y cambiar impresiones, o para jugar unas partidas a los bolos, como cuento, allí estaba Manín, en diálogo con unos vecinos, ya de retirada para su casa después de haber encerrado las cabras, cuando vio a su desleal Pelayu, que muy contento y moviendo con gran felicidad su rabo, me acompañaba a mí, como si yo fuese en vez de él su amo, dejó a su contertulio con la palabra en la boca, y cambiando su pacífica charla por la riña loca, embistiome a mi con ofensiva y pecaminosa palabra, al mismo tiempo que con la vara que portaba en su mano, descargó sobre el confiado Pelayu tal varazo, que a quedarse el pobre tan sólo un segundo condoliéndose del acuciante dolor que en su cuerpo se anidaba, seguramente que hubiese llevado sobrada ración de varazos, que fácil la dejarían sin vida in situ. Pero no hizo tal cosa mi buen Pelayu, sino que salió huyendo como alma que se lleva el diablo, lanzando en el aire ladridos, que yo creo que no eran por el profundo sufrir que le proporcionara el castigo, sino que en su lenguaje, seguramente maldeciría aquella bestia con figura humana, que era capaz de azotar despiadadamente a un inocente niño, o de asesinarle a él mismo, que no se encontraba con más culpa, que de despreciar a su amo, por canalla y miserable. Y lo propio que Pelayu hizo, no lo dejé yo para más pensado, y a la vez que me perdía en la carrera, huyendo de aquel reptil repugnante y asqueroso, recuerdo que con rabia enloquecida yo le dije: ¡Fíu de put, baldreyu, llimiagu! (Hijo de puta, cobarde, rastrero, baboso..., etc., etc.). Pero miren ustedes por donde, estaba mi madre allí cerca en casa de una vecina hablando de sus cosas tranquilamente, cuando al sentir al Manín que me ofendía, al perro ladrar por la caricia que había recibido, y a mi insultándole poniéndole como un pingayu (de lo peor), salió mi madre de casa de su vecina, con todos sus muchos ánimos aviesporáus (envenenados, aguijoniantes), y cogiendo un palo que allí a mano había, bien seco y sudado, porque hiciera su servicio sirviéndole de mango a una fexoria (azada), se dirigió con extrema rapidez y silenciosamente al lugar donde Manín estaba, y sin decirle ni una sola palabra, empezó a darle palos con aquel formidable mango, que la suerte a Manín le cupió de que nuestros vecinos la detuvieran, porque sino, creo que le hubiese matado. «LA MULTA O EL REFORMATORIO» Al día siguiente, mi amigo Muel, yo y Pelayu, subíamos alegremente hacia la montaña, con locas ansias de llegar pronto a la cueva, con el infantil y firme deseo, de jugar hasta saciarnos con aquellas armas, recuerdo a mi querido amigo, futuro candidato al igual que yo, a la penosa esclavitud que como serradores nos aguardaba, la veo con su sana sonrisa, pintada en sus pequeños y vivarachos ojillos azules, acariciar una y otra vez, con una alegría inmensa aquellas armas, no existía para nosotros en el mundo, en aquellos felices momentos, nada que pudiésemos apreciar tanto, como aquellos mortíferos juguetes, de los que en la sazón, éramos los únicos señores y dueños, nos hallábamos fuera de la cueva, enredando cada uno con su escopeta, y una canana repleta de cartuchos colgada del hombro a la bandolera, Pelayu, desentendiéndose de nosotros mitigaba su hambre cazando grillos y mariposas, o cualquier otro insecto que plugiérale y fuérale rentable para entretener su enflaquecido estómago. Después de cansarnos de hacer la instrucción marcando el paso con la escopeta al hombro, emulando a los soldados cuando hacían prácticas en nuestra aldea, yo le dije a mi amigo señalándole el lugar, que desde aquel mismo sitio, yo había tumbado de dos certeros disparos al cabrón de mi amo. Muel, sacando dos cartuchos de la canana y metiéndolos dentro de la recámara de su escopeta, me dijo que él también pudiera haberlo hecho, y para asegurármelo de que no marraría el tiro, me señaló una piedra rojiza que había muy cerca de donde muriera el chivo, y a la par que se ponía la escopeta en el hombro para materializar lo que había asegurado, me decía ilusionado: —¡Fíxate Xulín!, ya veras cómu la desfaigu nun fatáu de cachiquinus—. (—¡Fíjate Julín!, ya verás como la deshago en mil pedazos—). El doble disparo retumbó dentro del natural silencio de la montaña, como si se tratase de un ruidoso trueno de las tormentas de los veranos, las águilas y los cuervos, así como todos los pájaros y animales que moraban por aquellos aledaños, moviéronse de sus lugares, graznando las aves al levantar el vuelo, y quizás las alimañas agudizasen al oído para saber el peligro que pudiese traerles aquel espanto. Hasta Pelayu dejó su caza insectívora para ladrar desaforado, como si presintiera que otro cabrón había sido abatido, que le haría de nuevo volver a hartarse, o tal vez nos estuviese reprimiendo, queriendo con su lenguaje decirnos, que aquella xuxeante folixa (crecido ruido, alegría, juerga, etc., etc.) que tan amanicomiadamente entamábamos (enloquecido ruido que hacíamos) no iba a reportarnos buenos resultados. Lo cierto fue que mi querido amigo Muel, no atinó a deshacer aquella rojiza piedra contra la que había disparado, y yo alegrándome por su fracaso, cargué con rapidez mi escopeta, me la puse en el hombro, y disparé contra aquel blanco otros dos disparos, tampoco pude yo hacer puntería, y él mofándose de mí, cargó de nuevo su escopeta con notoria alegría, a la vez que me aseguraba que de aquella no fallaría, volvía a disparar sin importarle para nada el tremendo culatazo que nos solían dar aquellos guerreros artefactos. Y así, una y otra vez, atenazados por un gozo y felicidad que nunca con tanta fuerza a nuestros juveniles espíritus había con entera libertad creado, disparábamos con alegría ilusionada contra aquel aproxetáu cuctu (enrojecida piedra), creyéndonos guerreros invencibles, o cazadores afamados. Muy posible yo me creyera un jefe poderoso, justiciero y honrado, que cada disparo que hacía, l'eszarapaba les vidatches d'uno de lus baldreyus homes, que habíen achuquináu ‘l miou padre. (Le deshacía las sienes de algunos de los cobardes hombres que habían asesinado a mi padre). Lo cierto fue, que tras de quemar veintitantos cartuchos cada uno, la piedra seguía en su sitio, y nosotros un poco desilusionados, hicimos un pequeño descanso, en el que acordamos cambiar de blanco. Disponíamos de nuevo hacer más atinadas prácticas sobre el rugoso y fuerte tronco de una encina, cuando Pelayu salió de junto nosotros y con apremiante prisa ladrando, contra un intruso que nos visitaba, guiado al parecer por el atronador ruido, que con nuestros alegrativos disparos formábamos. Era nuestro mal recibido visitador un rapazacu (mozalbete) que andaba por aquellos montes a la caza de la perdiz, que había endemasía nutridos bandos, que bajaban a veces hasta los sembrados d'arbeyinus y'oitres semáus (de guisante y otros sembrados) más alejados de la aldea, y ni el gran espantapáxaru tenía llixa de xebrayus (espantapájaros tenía fuerza para espantarlos). Jerónimo se llamaba aquel jovenzuelo indeseable, que había heredado de su padre toda la cobardía y males tales, que muchas gentes de mis lugares, le estarían rabiosa y odiativa, despreciable y asquerosamente maldiciendo, hasta que el Hacedor les llevara de este mundo tan poco lleno de humanidades. Era hijo de este sujeto tan maldecido, cacique de mi aldea con vuelos tales, que no del todo satisfecho con enviar para el otro barrio algunos de sus inocentes convecinos, en el acaecer se dedicaba, a que a sus vecinos la ley, que había, muy moldeable para dar por buenas todas las denuncias avaladas por caciques facciosos como él, se ensañara con crecidas multas, que al no tener dinero la gente aldeana para satisfacerlas, tenían que vender parte de sus ganados, y sabedores los tratantes por ser lobos de la misma camada aunque con diferente collor (color), que los campesinos tenían que vender sus reses con abonda priexa (mucha prisa) para satisfacer aquellas multas antes que se enrodietcharen (enredaran) peores males, pues como cuento, aquellas aves de rapiña de tratantes, se unían todos de tal manera, que lograban desbaratar los mercados hasta tal punto, que más que comprar, lo que hacían, era robar dentro de la ley a los aflijidos y siempre maltratados campesinos. Al quedarse los desdichados aldeanos sin sus ganados, por la causa de aquellas multas, que la verdad era nadie sabía que era lo que castigaban, aquellas asesinantes multas que la ley les inxertaba (injertaba), que les hacía dentro del acuciante temor que en aquel lleldar (ácaecer) era aterrante, deshacerse de sus ganados para pagar tan diabólicas y desnaturalizantes sanciones. Y como los campesinos, por lo menos en todas las embrujadoras aldeas de mi melgueira tierrina (dulce tierra), y me supongo que tal sucederá en todas las aldeyuelas del mundo, sin ganados de tiro no pueden trabajar sus erus (tierras), tenían que por fuerza mayor, agenciárselo aunque fuese dentro de las más viles condiciones, y así, el canalla de cacique de mi aldea, daba vacas, yegüas, cabras, y ovejas a la comuña (condición) que tan sólo el agobio de la desesperante necesidad hacíales aceptar, con lo que se condenaban a ser esclavos de un ganado que no era de ellos, siendo en la mayor parte de las ocasiones las ganancias completamente nulas, pues si una res se moría, se despeñaba, la mataban los lobos o la devoraba el oso, no la perdía el dueño, sino el comuñero, y así, de esta miserable forma, este canalla de cacique, explotaba vilmente a muchos campesinos que por imperativa necesidad, eran comuñeros de este indeseable asesino, que no había hecho la guerra en las trincheras, porque su cobardía era tan grande, que le había obligado a pasar toda la contienda escondido en los montes, y ahora que la guerra ya terminara, era cuando él verdaderamente la hacía, en la entristecida y enlutada paz que poseían las gentes de mis aldeas. ¿Cuántos despreciables seres como este nefasto individuo había en mi Patria... ? ¡¡Yo creo que honradamente debemos todos de reconocer, que había un par de ellos en cada aldea, y en las villas y ciudades me supongo que morarían muchos más!! Cuento que llegó el Jerónimo con su escopeta al hombro acompañado de su perro perdiguero ante la nuestra presencia, y ufanándose altaneramente quizás pensando que nos iba a hacer, lo que le diera la gana, nos dijo con apariencia muy enojada, al mismo tiempo que nos ofendía con sus palabras: ¡Haber decirme pronto, ¿dónde habéis robado estas escopetas?, si no queréis que vos falague ‘l llombu con ista bardiaca! (que nos moliera a palos todo el cuerpo con una vara que portába en sus manos). No despegó sus labios en el momento mi amigo Muel, porque el padre de aquel llabasquín (cerdo pequeño) era el dueño de los ganados de su casa, y por aquello de que el amo siempre, sin la razón con la ganancia anda, no le refutó pequeña palabra. Pero yo que ya me había creído que aquel babayu de guaxón (farolero, fantasma de mozalbete) se iba apoderar de mis armas, las que yo creía que eran de mi entera propiedad, le dije sin miedo y desafiantemente, que aquellas escopetas eran mías, y que ni él ni nadie sería capaz de quitármelas. Entonces Jerónimo mirándome acusadoramente me replicó seguidamente con estas palabras que me condenaban: ¡Entonces... tu fuiste el que mató antes de ayer al chivo de Manín? ¡Si yo fui!, le dije envalentonado y poseído de una airada rabia, a la vez que le encañonaba con la escopeta y amenazándole firmemente le aconsejaba: ¡Fáinus el favore de dexanus nel nuexu antroxu, ya colar pel mesmu xeitu per únde sen chamate 'llegasti, se nun quiés que faiga nel tou ventrón, el mesmu buracu quei fexe nus fégadus del cabrón de Manín! (¡Haznos el favor de dejarnos con nuestra alegría, y márchate por el mismo sitio, por donde sin llamarte has llegado, si no quieres que haga en tu barriga, un orificio parecido, al que le hice en los hígados del cabrón de Manín!). —Y fue entonces cuando Muel valientemente apoyándome con su amenazante escopeta y con sus advertientes palabras le dijo: ¡Mira Jerónimo, no tiene nada que ver que mi padre se arrastre frente a vosotros, por el miedo de que le quitéis el ganado, pero yo ahora no soy mi padre, y si no sales en el momento corriendo como una exhalación (centella, rápido), me parece a mí, que te vamos a coser a perdigonazos! Justificándose Jerónimo con el atropello que en el miedo se cosecha, dio media vuelta y casi a las carreras, tomó las de villadiego, a la par que se alejaba murmurando no se qué amenazas. Su perro, quedose unos instantes olisqueándose con Pelayu, al que yo achuché (azuzé), y Pelayu que para engarradiercharse (pelearse) era una ardorosa fiera, saltó como un león, atacando con un furor endemoniado al fino can perdigonero, y si no es por Muel, me parece que allí en el mismo lugar que había muerto el chivo, Pelayu hubiera despachado, aquel hermoso, cariñoso e inocente perro. Quedámonos muy satisfechos y gozosos, a la par que en nuestros espíritus, navegaba el orgullo perfumándose con la vanidad Humana, y todo, por haber acoyanáu ya féchule moscar ameruxáu de miéu (acojonado y haberle hecho huir, lleno de miedo) al hijo de uno de los amos de la aldea, que en un principio se había creído, que le sería sencillo hacer con nosotros cuanto le viniese en gana. Durante algún tiempo, estuvimos llindiándu (vigilando, cuidando) a Jerónimo por ver el camino que se tomaba, pues teníamos el temor que se ocultara para después sorprendernos, pero no fue así, y al final muy contentos ya le vimos corriendo que se las pelaba en compañía de su perro, desembocando en el pedregoso camino que le conducía a la aldea. Sabiéndonos libres del temor del adefesio de Jerónimo, y olvidándonos en el mismo instante de cuanto con él nos había acontecido, volvimos a nuestro peligroso juego, de disparar las escopetas contra diferentes blancos, y así, hablando de nuestras cosas con satisfacción que nos embargaba dentro de una felicidad pasajera, deslizábase el tiempo sin enterarnos, hasta que a la postre, dimos fin a todos los cartuchos que teníamos, y fue entonces, cuando decidimos esconder las armas en la cueva, y con los hombros doloridos por las sacudidas que nos propinaban las escopetas por los disparos, disponíamosnos muy contentos en el regreso para nuestras casas, y para simular que veníamos de la leña, agenciámosnos unos tochacus de pochiscus (leños de encina) y poniéndonoslos al hombro, bajamos corriendo por entre los vericuetos y las serpenteantes sendas, hasta llegar al camino real que nos conduciría a la aldea. El ubérrimo valle de alegría alborazada, que poblaba por entero nuestros espíritus, viose en unos segundos nublado y con rapidez cubierto, por un zozobrante y temeroso manto, nacido del retrato que nuestros ojos hicieran, cuando a la entrada de la aldea, justamente en el mismo lugar donde por costumbre, mi amo solía esperarme para xebrar (apartar) sus cabras, estaban aguardándonos los guardias, en la alegre compañía de Jerónimo, que poseyendo las mismas indeseables zunas (costumbres) que su padre, no había perdido ningún tiempo en ir hasta el cuartelillo para delatarnos. Yo tentado estuve cuando me percaté que eran los mismos guardias que el día anterior me habían cobardosamente martirizado, de tirar los garbetus (leños) que llevaba en el hombro, y salir corriendo para huir de aquel verdugo que sonriéndose ladinamente, quizás estuviese pensando su enrevesada y nefastosamente, el volver a esforgayame (arrancarme, estriparme, deshacerme) la única oreja que me quedaba sana. Sin embargo, logré dominar el miedo, y dejando a Muel que abriera la marcha, llegamos a la postre ante la presencia de ellos, y aquel canalla de guardia, no se dirigió a Muel a pesar que unos metros delante de mí iba, sino que vino sonriendo malignamente hacia mí, con las mismas asesinas intenciones que el hambriento lobo lleva, cuando para satisfacer sus ansias del espíritu y la carne, sin el menor miedo se lanza, sobre el inocente corderillo que no tiene a nadie que le defienda. Antes de dirigirme la palabra, aquel demonio con tricornio, que a fe mía desprestigiaban, porque hermosa para el pueblo es la esclava de la Justicia, cuando todas sus obligaciones y credos justamente da cumplidas. Digo yo, que lo primero que hizo fue cogerme mi oreja sana, apretarme un poco para ponerme en atención, y luego mirándome altanera y sonrientemente me dijo: ¡Ahora ya no me negarás de que no has sido tu quien disparó sobre el cabrón de tu amo, y me supongo que también me dirás, dónde has conseguido las armas, maldito pilluelo, hijo de una bruja y de un rojo republicano, o comunista sin entrañas! Tiré los tochucus (leños secos) al suelo apremiado por el dolor que de rabia me desencaldaba (deshacía), con tan mala fortuna que por mí no había sido pensada, que diéronle en las piernas de aquella fiera uniformada, y gran dolor en él tuvo que lleldarse (hacerse), porque dejó de esfarugarme (deshacerme la oreja), para acariciar con gestos de dolor la caña de una de sus piernas, al mismo tiempo que yo hacía lo propio con mi oreja, que ya colorada como una guinda, me resquemaba como si estuviese ardiendo. Mirome con ojos extraviados por la rabia que le enloquecía, y siendo mayor la fuerza de su cobardosa entraña ya en poder de las iras que lo movilizaban, que el dolor que su cuerpo sentía, soltome de revés dos guantazos, que dieron conmigo en tierra, con el rostro manando abundante sangre. Fácil siguiese abofeteándome, pues ya estaba enclicándose (agachándose) para hacer conmigo vayan ustedes saber qué, cuando intercedió su compañero que asiéndole por un hombro, con desprecio y enfado le dijo: ¡Lo que terminas de hacer con este pequeño es una canallada, y como otra vez intentes tocarle del pelo la ropa, te las vas a entender conmigo! ¡¡Estoy harto de tus abusos, y de tus odios y desprecios por todas las gentes desgraciadas!! Ayudome aquel buen guardia a levantarme, y después con su propio pañuelo limpiábame el rostro de sangre, y al parojo que esto hacía cariñosamente me decía: ¡Te juro que nadie te volverá a martirizar más pequeño, y ahora si tu quieres, y que conste que ni te ordeno ni te obligo a contarnos nada, dinos de una vez dónde están esas malditas armas que tanto doloroso daño te han originado! Dime cuenta pronto que de seguir negando no sacaría en limpio nada, ya que el baldroyán (cobarde) de Jerónimo había descubierto ya todo, y a poco listos que fuesen, nada más que les conduciese al lugar donde nos había sorprendido, darían pronto con la cueva, donde se ocultaban las armas. Así que acompañado de Muel y de Pelayu, y seguido de cerca por los dos guardias y el delator de Jerónimo, guielos a paso rápido por entre las vegetativas y pedregosas sendas que serpenteaban por casi inaccesibles lugares, pronto me alegré al comprobar cómo aquel despreciable guardia que tan sañudamente me había martirizado, abarquinaba (respiraba) con penoso trabajo, al mismo tiempo que se deshacía en copiosos sudores el condenado, lo mismo que la manteca fresca expuesta al sol en el verano. Al observar el penoso esfuerzo que aquel guardia repugnante y gordo, imbécil y malvado, tenía que realizar para seguirnos, apreté más aun el paso, que casi se convirtió en carrera y que sólo Muel y Pelayu pudieron aguantarme alejándanos en cuestión de segundos un largo trecho de nuestros enemigos, que en el lleldar (acontecer), ya se habían detenido para hacer acopio de energías unos momentos. Aproximadamente aun no habíamos caminado ni una décima parte del trayecto que nos separaba de la cueva, y ya el llimiagu (baboso) de aquel guardia, se encontraba casi d'afechu despaxaretáu (deshecho), seguramente que antes de llegar al final, en la mente de aquel fucheiru (estercolero) humano, se dibujaría el ruin pensamiento, de maldecir a la ley que como enyordiáu pioyu (sucio piojo) servía, al cachiparru (parásito) que me había delatado, y a mí, por no haber seguido negando. Muel y yo con satisfacción nos reíamos de aquellas gentes, que en nuestras infantiles y sin cultivar mentes, habíamos retratado como personas que tenían menos llixa (fuerza, arte, valer, etc.) que un mure entre las zarpas de un gato. Estaríamos como a la mitad de la andadura, cuando la distancia que nos separaba ya era enorme, y a pesar que de continuo nos ordenaban que no corriésemos tanto y que procuráramos ir siempre a su lado, la verdad es, que ya les habíamos perdido todo miedo y que no les hacíamos el menor caso. Fue entonces cuando se me ocurrió la idea de decirle a mi amigo Muel, que cuando llegásemos al potchisquéiru (encinal), yo me adelantaría corriendo con todas mis fuerzas, para volver aquel mismo lugar antes que ellos lo hicieran, pero después de haber ya ido a la cueva, para poder esconder para nosotros, dos pistolinas muy atongadetas (bonitas, curiosas), que era una pena que se llevaran los guardias, y que nosotros podíamos esconder en cualquier lado. Y así lo hice, y logré regresar, mucho antes de que ellos, llegaran escadriláus (derrengados), claro que descontando a Jerónimo, porque éste andaba tanto como con la lengua si quisiera andarlo. El caso fue que los guardias aquel día se llevaron las armas, y a los cinco o seis días, regresaron a la aldea preguntando por mi madre y el padre de Muel, para llevarles hasta el cuartelillo, con el fin de no sé qué preguntarles o darles. Cuando mi madre en compañía del padre de Muel regresaron del cuartel, estábamos nosotros xugaretiándu (jugando) debajo del ñoceón (nogal grande) que había a la entrada de la aldea, que tanto como tenía de frondoso y grande, eran de pequeñas, escasas e insípidas sus nueces. De donde viene un adagio asturiano que dice: ¡Mucher grandie ande óu non ande, peru tantu s'espatuxa, comu senún lu fixera, en dalgún lláu fae bona atongadura! (Mujer grande, ande, o no ande, pero tanto si camina, como si no lo hace, por grande en todos los lugares estorba). «Claro que se me olvidó decir, que menos en el catre, para añuedar el cibietchu cundu nun hay oitra, pequenina, atongaina ya melgucira». (Para hacer el amor, cuando no hay otra, pequeñita, bien hecha, y tan dulce como lo que debe ser vivir en la gloria). Digo yo que al ver nuestros padres corrimos hacia ellos, y cuando ante su presencia nos encontramos, casi sin darme cuenta vi a mi amigo rodar por el suelo, por la fuerza vigorosa del tremendo castañazo que su padre le llantó nuna mexietcha (le plantó en una mejilla), pero antes de que yo me percatara del peligro que sobre mí se cernía, vime acochetáu (cojido, sacudido) por mi madre, que me allumbróu (alumbró) un mamplenáu (muchos) pescozones, tan seguidos y atinados, que me parecía que todos me llegaban en ringlera, no teniendo que esperar uno por el otro, para que no se enfadasen ninguno. Y allí mismo por este procedimiento que nuestros progenitores nos hacían, comprendimos que nada bueno los guardias a nuestros padres les habían hecho. Y claro que no era nada respetable ni justo, sino un atropello despiadado, inhumano, mezquino, repugnante y apartado de la Justicia a tanta distancia, como la que existe desde la Tierra hasta el Infinito Cielo. Resulta que la canallesca ley que en aquella para mí inolvidable época existía, nos había condenado a ir a un reformatorio, o a que pagasen nuestros padres una multa de ciento cincuenta pesetas en papel del Estado, en el término de treinta días. Y fue entonces cuando yo empecé a preguntarme, ¿que qué era lo que tenían que reformar en mi...? ¿Acaso entraba en la reforma que aquella ley que estaba por todos los rincones de la Patria haciendo encima de los vencidos y sus descendientes, asesinar a nuestros padres, hermanos, parientes y hasta madres, privarnos de nuestra libertad, y robarnos cuánto teníamos? —¿Aquella ley digo, todavía tenía que reformar algo más en mí, que en un principio ya no hubiese inhumana y endemoniadamente reformado? Yo que era en aquel lleldar un pobre niño de poco más de ocho años, condenado precisamente por la misma ley, a no tener jamás ya el amoroso cariño de mi padre, yo que había sido condenado como todos los jóvenes hijos de los vencidos y encarcelados y asesinados padres, yo que estaba lleno de hambre, de miseria, de sufrimiento y de una soledad inconsolable, yo que si quería comer un trozo de pan duro, tenía que caminar descalzo y medio desnudo, por entre las zarzas y guijarros de las montañas, esclavizando mi cuerpo y mis sentidos, en el cuidado de unos ganados que no eran míos, a mí, a un ser así de natural, puro, desamparado y desgraciado, ¿aún quería aquella entroyada (sucia) ley reformarme por considerarme malo? —Yo nunca he sido político, pienso ahora, ni tampoco con mis palabras harto vulgares y aldeanescas, pretendo fomentar el odio hacia nadie, soy ante todo un liberal disciplinado, que ama a mi Patria, por la que estoy en cualquier momento dispuesto a morir, pero me creo con el suficiente derecho de contar al mundo de cuanto yo he sufrido, que es el retrato de tantos otros huérfanos de guerra que lo mismo que yo tanto sufrieron, aunque más en duda, pongo que lo hubieran hecho, quiero contar todo lo que considero que siendo verdad, no debe ser olvidado, y desearía con toda mi alma, que mis palabras tuviesen repílos (ecos) más clarividentes, que los que en su origen se formaron, para que llegasen a todos los oídos, y en sus mentes gigantesca Humanidad digna y justa edificasen, que diera paso a una libertad liberal y disciplinada, que atrancase (cerrase, peslase) sus puertas a todo cuanto no fuese digno y honrado, de esta sencilla y natural manera, la fraternidad sería por primera vez, el tesoro más puro, luminoso y deseado, que la Humanidad en toda su existencia hubiese conquistado. En este relato, que para muchos críticos comedores, que sólo saben fartase comu gochus (comer como cerdos) e intentar con sus medios deshacer lo que alguien con más capacidad creativa que ellos, más bien o peor ha edificado, digo yo, que muchos críticos fanáticos defensores de normas idealísticas, que con sus leyes en la ocasión asquerosamente convencionales, que lograron deshacer el destino que a mi vida creo que le pertenecía, al igual que a toda la generación de los hijos de los perdedores, no les agradara en absoluto, que un hombre que fue despojado de cuanto poseía, y empujado vengativa y canallescamente al arroyo, cuando él por ser un niño, no podía defenderse, tenga ahora la osadía, con sus pobres medios culturales, d’abayucar la trelda (revolver la porquería), que nadie hasta el presente, tan ajustada y verídicamente pudiera contar jamás. Digo porquerías, pues es eso precisamente lo que suelen dejar las secuelas de una guerra civil, y pobre de aquellos países que la sufran, porque sus hijos quedarán divididos, y los perdedores, tendrán que soportar un yugo, que más flojo, o menos prieto, esclavizándolos los ha de postergar. En este relato retrato yo, al vencedor y al vencido, menos al perdedor de quien soy hijo, ya que he tenido la desgracia de conocerle cuando el desventurado ya era un vencido, pero con el vencedor he vivido siempre, sirviéndole con decencia y honradez, silenciosamente observándole siempre, y no recibiendo de él, nada más que calamidades y ofensas, y sin embargo, nunca le odié, siempre disciplinadamente le serví, y si en el lleldar se siente ofendido por lo que de verdad digo, espero que se comporte conmigo, de la misma manera que con él siempre yo he hecho. Sé que estas narraciones no se han de publicar en mi Patria, porque la censura no permitirá que el hijo más humilde, cuente una verdad que denigra no a mi querida y noble España, sino algunos de sus inamovibles sistemas, pero tengo la firme certeza, que algún querido hermano país, sin el menor odio ni rencor sí ha de hacerlo, y con esta mi voz del pueblo, sencilla y natural, ubérrima y estéril, millones de seres de la Tierra habrán de saber, que hoy todavía, vive en mi Patria, la mitad de una generación, descendiente de los perdedores de la sanguinaria Guerra Civil que empobreció a la más maravillosa nación del mundo como es mi España, apartados de todo acceso a cualquier puesto de responsabilidad, bien en el gobierno, en los sindicatos, o en cualquier otro lugar, de responsabilidad de la Patria. Y desde aquí, invito a todos los españoles para que investiguen esto que he dicho, y ya verán como es una verdad, que no admite discusión posible. Cuánto placer sentiría yo si me pudiese expresar con ustedes en la maravillosa, ancestral y rica Lengua Asturiana, pues para mí, decir las cosas en Castellano es un verdadero fastidio, con tantos puntos y comas, y demás signos ortográficos, que para un hombre sin estudios de ninguna clase como yo, es una verdadera tortura, pues mi imaginación que idea y piensa con la fuerza de un enorme río enloquecido, a la hora de querer contar estas copiosas cosechas, que hasta en los mismos sueños me alumbra, cuando me pongo a escribir todos estos pensamientos y acaeceres, al expresarlos en español, meto la pata hasta los corbétchones, por esto ruego me perdonen, y háganse a la idea, de quién les está hablando, no es nada más que un humilde aldeano, sin más escuela que la siempre dura universidad de la vida. Y con la fortuna o desgracia de haber nacido con el embrujador duende de ser soñador, no por aparentar, por ocio o por estudio, sino con la intima necesidad que me tortura el alma, al mismo tiempo que me embarga dentro de una felicidad, que me hace en ocasiones ser dichoso, sin jamás haber sido feliz, y en otras dimensiones me llena de tal tristeza, que en apariencia sin sucederme nada, me encuentro tan apenado y deprimido, que todo cuanto me rodea y hasta yo mismo, me parece la pestilente porquería, con que se harta sin jamás hastiarse, el nefasto diablo al que entusiasmados y egoístas servimos. Enteponíu colaba you dellantre de miou madre, espatuxandu caleya adiantre, afalau per las engafuráes pallabres de miou má, camín de la nuesa teixá. (Conducido corría yo delante de mi madre, caminando rápido calleja arriba, arreado por las envenenadoras palabras que mi madre me dirigía, a la vez que hacia nuestro hogar nos acercábamos. Yo miraba arisco para ella, pensando que me iba alcanzar presto, para propinarme ante mis vecinos, otra somanta (paliza) como la que de aun mi cuerpo se condolía. Al fin llegamos a nuestra casa, y ya en ella encoyíu (encogido) por el temor, aguardaba resignado que mi madre calmara su furia dándome una nueva cuera, que mereciéndola, no la merecía. Estaba visto que llevaba unos días, que todos los golpes me habían elegido a mí para sus descansos, primero el cobarde de mi amo, que con sus asquerosas manos, me había puesto el rostro, tan descalabrado que no había en él un lugar sano donde coyera una guya (cupiera una aguja), después el canalla del guardia, que me dejara las orejas tan maltratadas, que me parecía que no eran mías, y para finalizar mi madre con aquella argurtóuxa tocata que m'apurriera (alta paliza que me propinara), que según me parecía, no había sido nada más que la parba (desayuno breve) de la que se esperaba Furibunda y desesperada asiome mi madre por mis maltrechos hombros, y al mirarme yo en sus hermosos y enojudos ojos, pude ver en lo más profundo de ellos, el desmesurado amor que la pobre me tenía, y lejos de azotarme como yo pensaba, sólo me preguntó muy apenada y preocupada: ¿De dónde vamos a sacar esas ciento cincuenta pesetas Xulín? ¡En alguna parte hijo, nos las agenciaremos, porque yo no permitiré que esta canallesca ley, hecha por indeseables sin entrañas, te lleven al reformatorio, donde ellos se tenían primero que reformar, para no seguir sembrando entre los desventurados vencidos, tanta vengativa y nefastosa canallada! Al día siguiente al rayar el alba, después de desayunar el rabón, (leche ácida cocida con harina de maíz) del que yo sí que me harté, pero ella la pobre apenas comió unas cucharadas, armada mi madre de un azáu (hacha) que había pedido prestado a un vecino, y yo de una foiceta (hoz) de podar la leña, fuimos al monte comunal a baltiar (cortar) leña, pues un carro de leña de encina, roble y espinero, que pesaba más de tres mil kilos, pagaba el maestro panadero, de la única panadería que había en el concejo, cincuenta pesetas por él, así que teníamos todo un mes por delante, para preparar los nueve mil kilos de leña, que nos proporcionarían las ciento cincuenta pesetas, con las que calmaríamos las iras de aquella inhumana ley, que tan despiadadamente nos había castigado. Parecía que mi madre poseía la fuerza del más intrépido de los hombres, talmente era un gigante que con una fiereza incomparable, chorreando sudor y espelurciada su rubia cabellera al viento, cortaba sin el menor descanso encinas, robles y espineros, mientras que yo imitándola en cuanto podía, podaba aquellos arbustos con el más grande de todos mis entusiasmos. Serían las tres de la tarde y no habíamos hecho aun el más pequeño descanso, cuando mi madre me dijo que buscase caracoles, que se criaban en abundancia por aquellos lugares, tal cosa hice mientras que ella prendía un buen fuego, y allí asamos los caracoles que al ser atacados por el calor, estiraban su cuerpo asándose perfectamente, y fue aquella asquerosa comida la que mitigó nuestra hambre. Y así un día, y quince, y veinte, hasta que logramos preparar sin desfallecer ni descansar, los tres carros de leña, acarreándolos a las costillas, en otras ocasiones poleándolos (haciéndoles rodar) por entre los zarzales y las peñas, hasta poder llegar con tan copiosa cantidad de leña, al estratégico lugar donde el panadero con su carro, pudiera cargar la leña. Estábamos embalagándola (apilándola) mi madre y yo muy ufanos y satisfechos, de la difícil victoria que habíamos en tan escaso tiempo conseguido, porque en duda pongo, que pocas gentes en todo el Universo en las circunstancias que nosotros nos encontrábamos hubieran podido lograrlo. Digo yo que en tal trabajo nos encontrábamos amontonando aquella leña, que todos los tochos (leños) medio descortezados por la cantidad de veces, que fue menester rodarlos por entre los cuetus (piedras) que poblaban aquel xerrapeíru (sierra) daban señales y no por los cortes de las herramientas, de haber sufrido lo indecible por encontrarse despeyexáus (despellejados) hasta casi el total emporricamiento (desnudez) de las arnas (cortezas) que los cubrían. Nuestras físicas humanidades se encontraban tan maltrechas después de tantos días de sobrehumano trabajo y de raquíticos y deplorables alimentos, que tal parecía que éramos cadabres (cadáveres) vivientes, sino supiesen cuantos nos conocían, que éramos dos invencibles barras del más puro acero. Yo descalzo de afechu (del todo) y mi madre con las alpargatas dándoles vueltas alrededor del tobillo, imposibilitadas del menor encatesu (remiendo) todas nuestras escasas vestiduras lucíanse tan acuchilladas, como si fatáus (muchos) puñales anárquicamente las hubieran rasgado. Y nuestras pieles por todos los lados se encontraban arraguñáes (arañadas), pinchadas, magulladas, en definitiva martirizadas por las piedras, por los espinos, por la infinidad de arbustos que en aquella sierra casi inaccesible para las mismas cabras, yo y mi madre como dos guerreros invencibles, cortamos aquellos tres carros de leña, que al decir de mi madre, servirían estupendísimamente bien para amagostar (asar) a la propia ley, y a los sinvergüenzas y deshumanizadores fascistones que la vieran fechu (hubieran hecho). Y en postura tan deplorable se empobrecían nuestros desventurados cuerpos, por todo lo contrario, nuestros espíritus se lucían sanos y fortalecidos, orgullosos y alegres, por haber conseguido aquel trabajoso y casi imposible triunfo. También solía decir mi madre dentro de una rabia y desilusión enfurecida, que si los «roxus» (rojos) hubiesen batallado con el mismo ardor, e indómito entusiasmo que nosotros habíamos puesto, todos los fascistones de Europa serían nada para vencerlos, ni en lo más mínimo. Vuelvo a repetir, que concluíamos mi madre y yo de empericotar (apilar) los cuatro leños que faltaban para dar por terminada aquella proeza, cuando la diosa fortuna nos vino a visitar en la forma de Falu el maderero, que más o menos, esto fue lo que nos hizo, y nos dijo: ¡Buenas tardes Lluza!, que así era como llamaban en asturiano a mi madre, ya que en castellano su gracia es Luzdivina. ¡Se ‘l tou home allevantara la motchera, ya te viera a tí ya ‘l tuo fiyiquín, nel estáu que vus deixó la llamazoúsa ley del venceor, paime amín, qu'el probetayu espavoríu per tan grandie inxusticia, oitra vez se morrería! (Si tu marido volviera al mundo y te viera a ti y a tu pequeño hijo, en la situación que os ha dejado la fangosa ley del vencedor, me parece a mí, que el pobre lleno de un enloquecedor pavor por tan grande injusticia, otra vez se volvería a morir). —Recuerdo yo muy bien, lo mismo que si en este momento de nuevo lo estuviese viviendo, lo que me ha hecho esta canallesca ley que ahora a ti te martiriza, cuando en los frentes de Teruel me cogieron prisionero. Me internaron en un campo de concentración, y me dieron más palos que días me quedan de vida, aunque muerra tan viétchu (muera tan viejo) como Marcelín el de Fresnedo, que le llevó Dios cuando pasaba de los ciento diez años. Como comida nos daban una lata redonda de sardinas o bonito, que los prisioneros le llamábamos «el reloj», ya que así era de pequeña. Cuando te salía podre, que sucedía la mayor parte de las veces, te pasabas el día haciendo vigilia. ¿Cuánto te va a dar el panadero por esta leña Lluza? ¡Hombre yo creo que son tres carros buenos, y como está pagándose a diez duros el carro, pues me dará treinta! ¿Algamate? (alcánzate para la multa). ¡Sí Falu, ye lu xustu! (Es lo justo). Rafael, que así se llamaba Falu, (uno de los hombres más honrados, trabajadores y enteros que yo he conocido), a la vez que del bolsillo interior de su chaqueta sacaba la cartera dijo: ¡Mera compañera, voy a venir con el camión de la compañía maderera y llevar toda esta montaña de leña a Trubia, yo te voy a entregar ahora por ella trescientas pesetas, si después vale más, ya te daré el resto, y si vale menos, considera ese dinero que te di, como regalo de un roxu decente ya honráu comu tú le yes miou neña! (Rojo decente y honrado como tú lo eres mujer). Al día siguiente que era feria semanal en la capital del concejo, pidiole mi madre prestado a una buena vecina amiga suya un paxiechacu (traje, vestido) y unas zapatillas, y así vestida de prestado la pobre, se trasladó bien de mañana a la Villa, pagó la multa a aquellos canallas que servían a una ley tan ultrajante, que a los vencidos y sus inocentes descendientes peor que a apestosos esclavos nos trataba. Luego, después, compró ella un paxietyín (un vestidito), unas zapatillas y unas madreñas, para mí, un buzo, que era la vestimenta que entre los pobres se estilaba, unas alpargatinas y unas fuertes madreñas, y después de mercar algunas cosas necesarias, vino para casa la mar de contenta y satisfecha. Y ahora yo me pregunto a muchos años de distancia, viviendo aquellos por mí vividos pisoteados y vengativos tiempos, ¿a qué asesinas, sucias y cobardosas manos, irían a parar, aquellos nuestros dineros, ganados con el sobrehumano esfuerzo y la más justa honradez, manchados por la sangre de nuestras heridas producidas en el agotador trabajo, y mojados por tantas gotas de sudor, como de estrellas debe de haber en el infinito cielo? ¿No se dan cuenta amigos lectores, que injusticias como ésta, o de otra índole aun mayores, deben de contarse al Mundo, pese a quien pese, para quienes las escuchan forjen en sus sentimientos, de que en toda guerra, y sobre todo las civiles, dejan tras de sí, primeramente el dolor más deshumanizante, después las venganzas más pervertidas, que darán vida con fuerza ilimitada, a la repugnante, sanguinaria y odiosa fiera, que todo ser humano, desde los primitivos tiempos de su nacencia, lleva celosamente escondida, en el apartamiento más oscuro y más brillante de su espíritu, donde se mueve gozoso el sentimiento humano, tras de saber que a su Prójimo bien le ha hecho, y se revuelve envilecido, encanallado y airado por el odio y las iras endiabladas, cuando también comprende que a sus semejantes, en el dolor y el sufrimiento los ha sumergido. Y fue precisamente a estos desatinados sentimientos, manejantes en aquellos tristes momentos, de las inhumanas leyes que regían los destinos de mi Patria, donde fueron a parar mis dineros, mis primeros dineros, ganados con más santidad y honradez, que pueda llevar dentro la propia Hostia Santa, que es tanto como decir, que sólo los mismos demonios faltos de toda conciencia y sin el más mínimo sentimiento de honestidad, podrían sin sentir asco de sus propias personas, apoderarse de los honrados y muy fatigosos trabajos, de una viuda de los roxus (izquierdistas, rojos, por el mismo estilo), y de un huérfano de los mismos. ¡¡Yo creo, que como aún no habían satisfecho sus ansias asesinas, con la muerte de mi padre y de tantos inocentes, precisaban en el momento que preciso les venía, afestinarse en postres con el esfuerzo y sufrimiento de sus deudos!! Durante algunos días viví yo jugueteando por la aldea, mi vida sin ninguna preocupación, muy contento porque iba vestido con aquel mono nuevo, más delgado que un papel de fumar, ya que se me había esgazáu (roto) por más de media docena de lugares, pero aún así, a mí me parecía que llevaba puesto, mejores galas que el mismo vencedor, que poco lucía sobre sus costillas, que se le pudiera denominar verdaderamente honrado. Mi madre mientras tanto, seguía incansablemente trabajando por las tierras de los vecinos, sin jamás cobrarles ni una peseta de sueldo, pues ella tan sólo quería, que al cambio de sus sudores le dieran una cestina de patatas, una fontadina de farina, ou de fabes lu mesmu foran prietes que blanques, d'arbeyinus ou d'oitra cebeira, dalgún terreñaín de lleiche, mazá, tarabazá, ‘n culiestrus ou cabantes de brañar. (Una fuente de harina, o de alubias de cualquier marca o color que fueran, de guisantes o de cualquier otro cereal que fuera, algún jarro de leche, desnatada, cuajada, o la que alumbran las vacas recién paridas, o de la que terminasen de ordeñar a una vaca de leche). Ella llegaba todos los atardeceres a nuestra casa, sudorosa y cansada, pero resplandeciente de alegría, porque en su mandil traía mi comida. Luego, después de que yo me hartaba, nos acostábamos los dos en aquel jergón de sacos, repleto de hojas de maíz y también de pulgas, y abrazada a mí, se quedaba muy pronto profundamente dormida. Yo que desde niño he dormido poco siempre, quizás para hacer bueno el dicho que de camino me invento, que considera al que poco duerme más infeliz, que quienes tienen la dicha de dormir prácticamente, dentro de estos mis desvelos, en la silenciosa tranquilidad de la noche de aquella amplia sala desmueblada, cuyas paredes y techo estaban del sarro que deja el humo, y plagadas de arroxetáus (enrubiecidos) goterones, que ponían al descubierto las primeras pinturas que habían tenido, fendíu (cortado) de continuo este silencio, por el risueño y sórdido murmullo que alumbraba el pequeño río que vertiginosamente se deslizaba a menos de diez metros de nuestra casa, y otras veces también era enruxeráu (alterado) aquel silencio, por los ladridos de los perros de la aldea, o por el cante siempre misterioso y apabullador que hacen las curuxas (buhos) en la noche, cuento yo en que estos desvelos, observaba el placenteroso dormir de mi madre, con su respirar acompasado, fuerte y sano, con todos sus acerosos músculos, con naturalidad relajados, talmente parecía mi madre del todo inofensiva, mas sin embargo, aquel perfecto y vigoroso cuerpo que acoplaba fuerzas en el descanso, de la misma natural manera que agigantadamente dormido descansaba, cuando despierto se hallaba, se transformaba en un invencible e incansable guerrero, condenada ya a luchar en l'engarradiétcha del trabayu (la pelea del trabajo), todos los momentos de su vida, por los mismos endemoniados vencedores, que primeramente le habían achuquináu ‘l sou home ya lus sous fíus. (Asesinado a su marido y a sus hijos). Y ahora que ya todo ha pasado, y lejos de olvidarlo se agiganta cada día más en mi mente, yo me pregunto, que si mi madre no hubiese sido así de luchadora, de brava, de valiente y honrada, qué seria de mí y de ella misma, acosados en todo momento por la ley insana del vencedor, y xunius (uncidos) también para siempre, en el desventuroso carro de la esclavitud bien vigilada, por el látigo y la pistola del triunfador.Primer Diccionario Enciclopédicu de la Llingua Asturiana > carraca
-
14 ♦ there
♦ there /ðɛə(r), ðə(r)/A avv.1 là, lì; colà; costà, costì; ivi (lett.); ci, vi: Put it there, mettilo là; He isn't there, là non c'è; I promise, I'll be there, prometto, ci sarò; He will stay there all winter, vi rimarrà tutto l'inverno; There was nothing to eat, non c'era niente da mangiare; There was no one there, là non c'era nessuno; DIALOGO → - Asking about a house- Is there a garden?, c'è un giardino?2 ecco; ecco là; ecco che: There he is!, eccolo!; eccolo là!; Push the button, and there you are, premete il pulsante, ed ecco fatto!3 in questo; su ciò; su questo punto: There I disagree with you, su ciò non sono d'accordo (con te); There you are right, in questo hai ragione4 (enfat., idiom.) ecco; guarda (un po'): There she goes again!, eccola daccapo!5 (lett., idiom.; consente l'inversione fra soggetto e verbo; per es.:) There comes a time in a man's life when…, viene il momento, nella vita di un uomo, in cui…B n.1 quel luogo: We left there at eight o'clock, abbiamo lasciato quel luogo (o siamo partiti di là) alle ottoC inter.1 là!; finalmente; ecco: There, that's done!, là!, ecco fatto!; là! e anche questa è fatta!; There! What did I tell you?, ecco, che cosa t'avevo detto?2 su; orsù; suvvia; via: There! there! Don't cry, (suv)via, non piangere!● to be there, esserci, essere presente (quando q. ha bisogno di noi) □ there and back, andata e ritorno: How far is it there and back?, quanta strada c'è fra andare e tornare? □ there and then, lì per lì; subito; seduta stante; su due piedi: to decide st. there and then, decidere qc. seduta stante □ There now!, coraggio!; suvvia!; ( anche) ebbene!, hai visto?: There now! What did I tell you?, hai visto? che ti avevo detto?; There now, I knew you'd hurt yourself, già! lo sapevo che ti saresti fatto male □ there or thereabouts ► thereabouts □ by there, di là; lì vicino: I passed by there last night, passai di là ieri sera □ down there, laggiù □ to get there, arrivarci; ( slang) farcela, riuscirci □ to go there and back, andare e tornare □ (fig.) to have sb. there, cogliere q. in fallo (mettere q. con le spalle al muro) in una determinata cosa: You had him there, su quel punto, lo mettesti con le spalle al muro □ here and there, qua e là □ here, there and everywhere, (un po') dappertutto; un po' qua e un po' là: I've looked for it here, there and everywhere, l'ho cercato dappertutto □ in there, là dentro; lì dentro □ over there, là; colà; laggiù: Do you see that boy over there?, vedi quel ragazzo laggiù? □ up there, lassù □ ( al telefono) Are you there?, pronto?; sei tu?; sei ancora in linea? □ (fig. fam.) I have been there before, questa non mi è nuova; so di che si tratta (e non ci ricasco) □ (fam.) He is not all there, gli manca una rotella; non è del tutto a posto □ There's a good boy!, su, da bravo! □ There's no (+ forma in - ing), è impossibile; non c'è verso di: There's no knowing what she'll do, è impossibile dire che cosa farà; There's no pleasing him, non c'è verso d'accontentarlo □ There you are, ecco qua; eccoti servito; ecco fatto; che ti dicevo? □ (fam.) DIALOGO → - Shoes- There you go!, ecco a lei!; prego!; ( anche) ci risiamo!; siamo alle solite!; che ci vuoi fare? □ Who's there?, chi è là?; chi va là?NOTA D'USO: - there isn't o isn't here?- -
15 certo
1. adj ( sicuro) certain, sure (di ofche that)un certo signor Federici a (certain) Mr Federicici vuole un certo coraggio it takes (some) couragedi una certa età of a certain agecerti somecerte cose non si dicono there are some things you just don't sayun certo non so che a certain something, a certain je ne sais quoi2. adv ( certamente) certainly( naturalmente) of coursecerto che... surely...3. pron: certi, certe some, some people* * *certo1 agg.indef.1 certain: dovevo parlare con una certa persona, I was to speak to a certain person; per avere il diploma occorre sostenere un certo numero di esami, to get the diploma you have to take a certain number of exams; abitava in un certo quartiere di Parigi, she lived in a certain part of Paris; una signora di una certa età, a lady of a certain age; un certo signor Smith, a certain Mr Smith // un, quel certo non so che, a, that certain something // ho un certo appetito, I'm rather hungry2 ( qualche, un po' di) some: dopo un certo tempo, after some time; un episodio di una certa importanza, an event of some importance; ci vuole un certo coraggio, it takes (some) courage; sono andato da certi miei amici, I went to see some friends of mine; non sono tutti qui i libri, certi sono dal rilegatore, not all the books are here, some of them are at the binder's // certe volte non ti capisco, there are times I (just) can't understand you // ho visto certe facce in quel bar!, I saw some sinister faces in that bar!3 ( tale, simile) such: ha raccontato certe bugie!, he told such lies!; non dovresti dire certe cose!, you shouldn't say such things!◆ pron.indef.pl. ( alcuni) some, some people: certi sostengono che è ancora vivo, some (people) say he's still alive; certi approvavano, certi no, some were in favour and others were against.certo2 agg.1 ( vero, indubbio, indiscutibile) certain, sure; definite: è un fatto certo, è cosa certa, it's a sure thing; la commedia avrà un successo certo, the play is sure to succeed; un rimedio certo, a sure remedy; un appuntamento certo, a definite appointment // (dir.): prova certa, irrefutable evidence; data certa, fixed date // (fin.) certo per incerto, ( di cambio) fixed exchange (o fixed currency rate)2 ( sicuro, convinto) certain, sure: era certo di riuscire, he was certain of success; siamo certi della sua innocenza, we're sure he's innocent; ne sei certo?, are you (quite) sure?; sei certo che venga?, are you sure he'll come?◆ avv. ( con certezza, sicuramente): se non è venuto, ci sarà certo una ragione, there must be a reason if he hasn't turned up; ''Hai chiuso la porta?'' ''Certo'', ''Have you shut the door?'' ''Yes, of course''; ''L'hai letto?'' ''Certo che l'ho letto!'', ''Have you read it?'' ''Of course I have!''; Sì, certo!, Yes of course, sure!; No, certo, Of course not // ''Hai piacere di venire alla festa?'' ''Certo che sì'', ''Do you want to come to the party?'' '' (Yes) of course (I do)'' // di certo, for certain, for sure // ma certo!, by all means! (o of course!); sapere per certo, to know for sure; davo per certo che sarebbe venuto, I was sure he'd come* * *['tʃɛrto] certo (-a)1. agg1) (dopo sostantivo: indubbio: gen) certain, (prova) positive, definiteè cosa certa — it's quite certain, there's no doubt about it
2) (sicuro) certain, sureessere certo di qc/di fare qc — to be sure o certain of sth/of doing sth
2. agg indef (prima del sostantivo)1) certainin un certo senso — in a way, in a certain sense
in certi casi — in some o certain cases
2) (con valore intensivo) somedi una certa età — past one's prime, not so young
ho visto certe borse oggi - le avrei comprate tutte — I saw some terrific handbags today - I could have bought the lot
3. pron indef pl4. avvcertainly, (senz'altro) of coursecerto che sì/no — certainly/certainly not
posso portare un amico? - ma certo! — may I bring a friend? - yes, of course!
5. sm* * *I 1. ['tʃɛrto]ne sono certo — I'm certain o sure (of it)
2) (indubitabile) [ prova] firm; [ vittoria] certain; [ notizia] reliable; [ data] fixed; (efficace) [ rimedio] sureuna cosa è -a,... — one thing is certain,...
sapere qcs. per certo — to know sth. for certain o for sure
dare qcs. per certo — to be certain of sth.
2.è certo che lei accetterà — it's certain that she'll accept, she's certain to accept
sostantivo maschile3.lasciare il certo per l'incerto — to take a chance, to plunge into the unknown
1) certainly, surely2) di certo for certain, for sureII 1. ['tʃɛrto]no di certo — certainly not, of course not
aggettivo indefinito1) (indefinito, non precisato) certainper un certo periodo — for some time, for a while
ha un certo non so che — he has a certain something o air about him
2) (tale)3) (di tal genere) such4) (discreto)2.avere un certo appetito — to be rather o quite hungry
pronome indefinito plurale certi (alcuni) some (people)* * *certo1/'t∫εrto/1 (persuaso, convinto) [ persona] certain, sure (di of, about; di fare of doing); ne sono certo I'm certain o sure (of it); sono certo che verrà I feel certain that she'll come2 (indubitabile) [ prova] firm; [ vittoria] certain; [ notizia] reliable; [ data] fixed; (efficace) [ rimedio] sure; una cosa è -a,... one thing is certain,...; sapere qcs. per certo to know sth. for certain o for sure; dare qcs. per certo to be certain of sth.; è certo che lei accetterà it's certain that she'll accept, she's certain to acceptlasciare il certo per l'incerto to take a chance, to plunge into the unknownIII avverbio1 certainly, surely; certo! of course! sure! ma certo che vi aiuterò of course I'll help you; certo (che) è una situazione difficile it's a difficult situation indeed2 di certo for certain, for sure; no di certo certainly not, of course not; di certo non verrà he definitely won't come.————————certo2/'t∫εrto/1 (indefinito, non precisato) certain; una -a quantità di some; per un certo periodo for some time, for a while; in un certo (qual) modo in a way; fino a un certo punto up to a (certain) point; ha un certo non so che he has a certain something o air about him; sono uscito con -i miei amici I went out with some friends of mine2 (tale) un certo signor Bianchi a (certain) Mr Bianchi3 (di tal genere) such; non sopporto -i comportamenti I can't stand such behaviour; ho fatto -i sogni stanotte! I had such dreams last night! hai -e idee! you have some funny ideas!4 (discreto) avere un certo appetito to be rather o quite hungry; richiederà un certo impegno it will take some doing; un uomo di una -a età a man of a distinct ageII certi pron.indef.pl.(alcuni) some (people). -
16 just
I [dʒʌst]1) (fair) [criticism, action, decision] giusto; [anger, complaint, demand] giustificato; [ person] giusto, equo, imparziale, onesto; [ comment] giusto, imparziale; [suspicion, claim] fondato; [ reward] giusto, meritato, adeguato2) (exact) [account, calculation] giusto, esatto, correttoII [dʒʌst]2) (immediately) subito, appena3) (slightly) (with quantities) un po'; (indicating location or position) appenajust over, under 20 kg — un po' più, meno di 20 kg
4) (only, merely) solo5) (purposely) proprio, per l'appunto, giusto6) (barely)7) (simply) solo, soltanto, semplicemente, solamentejust a moment — (please wait) solo un attimo o momento; (when interrupting, disagreeing) un momento
8) (exactly, precisely) esattamente, proprio, precisamente9) (possibly, conceivably)11) (positively, totally)12) (easily)just think, you could have been hurt! — pensa, ti saresti potuto fare male!
14) (in requests)"that film was dreadful" - "wasn't it just!" — "il film era terribile!" - "davvero!"
16) (equally)just as big, well as... — grande, bene esattamente come
17) just about appena appena, quasijust about cooked, finished — quasi cotto, finito
18) just now (a short time ago) appena; (at the moment) proprio adesso, in questo momento19) just as proprio quando, nel momento in cui, mentre••take your raincoat just in case it rains — prendi il tuo impermeabile, in caso piova o caso mai piovesse
* * *I adjective1) (right and fair: not favouring one more than another: a fair and just decision.)2) (reasonable; based on one's rights: He certainly has a just claim to the money.)3) (deserved: He got his just reward when he crashed the stolen car and broke his leg.)•- justly- justness II adverb1) ((often with as) exactly or precisely: This penknife is just what I needed; He was behaving just as if nothing had happened; The house was just as I'd remembered it.)2) ((with as) quite: This dress is just as nice as that one.)3) (very lately or recently: He has just gone out of the house.)4) (on the point of; in the process of: She is just coming through the door.)5) (at the particular moment: The telephone rang just as I was leaving.)6) ((often with only) barely: We have only just enough milk to last till Friday; I just managed to escape; You came just in time.)7) (only; merely: They waited for six hours just to get a glimpse of the Queen; `Where are you going?' `Just to the post office'; Could you wait just a minute?)8) (used for emphasis, eg with commands: Just look at that mess!; That just isn't true!; I just don't know what to do.)9) (absolutely: The weather is just marvellous.)•- just now
- just then* * *I [dʒʌst] adj(fair) giusto (-a)II [dʒʌst] adv1) (exactly) proprio, esattamentejust here/there — proprio qui/là
just behind/in front of/near — proprio dietro a/davanti a/vicino a
just when it was going well... — proprio quando tutto andava a gonfie vele...
just then or just at that moment — proprio in quel momento
it's just on 10 o'clock — sono le 10 in punto or precise
it costs just (on) £20 — costa 20 sterline tonde tonde
that's just it!; that's just the point! — precisamente!, proprio così!, per l'appunto!
that's just (like) him, always late — è proprio da lui arrivare sempre in ritardo
just as I thought/expected — proprio come pensavo/mi aspettavo
2) (recently, soon) appena, or orahe's just done it/left — lo ha appena fatto/è appena partito
3) (only) soltanto, solojust yesterday/this morning — soltanto ieri/stamattina
just a minute!; just one moment! — un attimo!
4) (simply) semplicemente, soltantoI just thought that... — pensavo solo che...
I just wanted to say that... — volevo solo dire che...
5) (slightly) pocojust over/under 2 kilos — un po' più/meno di 2 chili
it's just to the left/right — è subito a sinistra/destra
6) (barely) appena, (almost not) per un pelojust in time — giusto or appena in tempo
just enough money for sth/to do sth — soldi appena sufficienti per qc/per fare qc
he (only) just caught/missed it; he caught/missed it, but only just — l'ha preso/perso proprio per un pelo
7)it's just as good — è altrettanto buonoit's just as good as... — è buono quanto...
8) (with imperatives) un po'9) (emphatic) veramente, proprioso you regret buying it? — don't I just! — ti sei pentito di averlo comprato? — eccome!
10)I've had just about enough of this noise! fam — ne ho proprio avuto abbastanza di questo rumore!take an umbrella just in case — prendi un'ombrello, che non si sa mai
just the same, I'd rather... — ciononostante, preferirei...
* * *I [dʒʌst]1) (fair) [criticism, action, decision] giusto; [anger, complaint, demand] giustificato; [ person] giusto, equo, imparziale, onesto; [ comment] giusto, imparziale; [suspicion, claim] fondato; [ reward] giusto, meritato, adeguato2) (exact) [account, calculation] giusto, esatto, correttoII [dʒʌst]2) (immediately) subito, appena3) (slightly) (with quantities) un po'; (indicating location or position) appenajust over, under 20 kg — un po' più, meno di 20 kg
4) (only, merely) solo5) (purposely) proprio, per l'appunto, giusto6) (barely)7) (simply) solo, soltanto, semplicemente, solamentejust a moment — (please wait) solo un attimo o momento; (when interrupting, disagreeing) un momento
8) (exactly, precisely) esattamente, proprio, precisamente9) (possibly, conceivably)11) (positively, totally)12) (easily)just think, you could have been hurt! — pensa, ti saresti potuto fare male!
14) (in requests)"that film was dreadful" - "wasn't it just!" — "il film era terribile!" - "davvero!"
16) (equally)just as big, well as... — grande, bene esattamente come
17) just about appena appena, quasijust about cooked, finished — quasi cotto, finito
18) just now (a short time ago) appena; (at the moment) proprio adesso, in questo momento19) just as proprio quando, nel momento in cui, mentre••take your raincoat just in case it rains — prendi il tuo impermeabile, in caso piova o caso mai piovesse
-
17 тот
[tot] pron. e agg. dimostr. (f. та, n. то, pl. те)1.1) quelloв то время (в ту пору) — allora (a quel tempo, a quell'epoca)
на той неделе — (a) la settimana scorsa; (b) la prossima settimana
"Да он не в этот дом вошёл, а вон в тот" (И. Гончаров) — "Ma non è questa la casa in cui è entrato, è quella lì" (I. Gončarov)
2) quello, colui, ciò ( o non si traduce)тот, кто — colui che
то, что — ciò che
всё то, что — tutto ciò che
это тот, кто... — è quello che... (è colui che)
я хорошо запомнил то, что он сказал — mi ricordo bene quel che ha detto
"Что случилось, того уж не поправишь" (А. Чехов) — "Quel che è stato è stato" (A. Čechov)
"Кто жил и мыслил, тот не может в душе не презирать людей" (А. Пушкин) — "Chi visse e meditò, in cuor suo non può fare a meno di disprezzare gli uomini" (A. Puškin)
это тот (из двух), который играет на рояле? — è quello che suona il pianoforte?
ты знаешь (того), кто на ней женился? — conosci quello con cui si è sposata?
я видел (то), что он написал — ho visto ciò che ha scritto
вот (тот) дом, который они хотят купить — quella è la casa che vogliono comprare
это (то) письмо, о котором я тебе говорил — è la lettera di cui ti ho parlato
это (та) девушка, в которую он влюблён — è la ragazza di cui è innamorato
это (те) книги, которые оставил ему отец — sono i libri ereditati dal padre
3)тот же (самый) — stesso, medesimo, già citato
несмотря на то, что — nonostante, benché
тем не менее — tuttavia (ciò non di meno, ciònonostante)
перед тем, как — prima di
благодаря тому, что — grazie a
ввиду того, что — visto che
в то время, как — mentre
по мере того, как — man mano che (nella misura in cui)
по мере того, как пёс старел, его глаза становились всё грустнее — man mano che il cane invecchiava, i suoi occhi diventavano sempre più tristi
после того, как... — dopo che (una volta che)
после того, как все заснули — una volta che tutti dormivano
5) pron.:"Он оглянулся на Варвару, та сидела, закрыв лицо руками" (Д. Григорович) — "Guardo Varvara: lei stava lì, con il viso nascosto tra le mani" (D. Grigorovič)
у него мало друзей, да и те далеко — ha pochi amici e anche quei pochi sono lontani
"Те шепчутся, а те смеются меж собой" (И. Крылов) — "Gli uni parlocchiano, altri ridono tra loro" (I. Krylov)
6) si tratta di"Кто-то постучал в дверь. То была Марианна" (И. Тургенев) — "Qualcuno bussò alla porta. Era Marianna" (I. Turgenev)
"То слёзы бедных матерей" (Н. Некрасов) — "Furono lacrime di povere madri" (N. Nekrasov)
2.◆то ли дело лето: тепло! — in estate si sta molto meglio
тому назад — fa
и тот, и другой — tutti e due (l'uno e l'altro)
до того, что... — al punto di
он до того крепко спал, что не слышал будильника — dormiva così sodo da non aver sentito la sveglia
не то, чтобы... — non tanto... quanto
она была не то, чтобы красива, но обаятельна — non è che fosse bella, ma era piena di fascino
"Покойный дед был человек не то, чтобы из трусливого десятка" (Н. Гоголь) — "Il nonno, buon'anima, non era un pusillanime" (N. Gogol')
ни то, ни сё — né carne né pesce
"Всё не то, ребята!" (В. Высоцкий) — "Non ci siamo, ragazzi" (V. Vysockij)
-
18 stesso
samelo stesso, la stessa the same oneè lo stesso it's all the sameoggi stesso this very dayio stesso myselfse stesso himselfl'ho visto coi miei stessi occhi I saw it with my very own eyes* * *stesso agg.1 ( identico) same: abbiamo preso lo stesso treno, we caught the same train; hanno lo stesso insegnante, they have the same teacher; abitate nella stessa casa?, do you live in the same building?; faccio sempre la stessa strada per andare in ufficio, I always go the same way to the office; abbiamo avuto la stessa idea, we had the same idea; sono nati nello stesso giorno, they were born (on) the same day; mi comporterei nello stesso modo, I'd behave just the same (o I'd do the same thing); dice sempre le stesse cose, he always says the same (old) things; fa sempre gli stessi errori, he always makes the same mistakes; sono anch'io del tuo stesso parere, I think the same as you do; non ho più lo stesso numero di telefono, I haven't got the same telephone number any more; non frequentiamo le stesse persone, we don't move in the same circles; non abbiamo gli stessi gusti, we haven't got the same tastes (o our tastes are different); siamo allo stesso punto di prima, we're back to where we were before (o we're at the same point we were at before o we're back where we started from); siamo stati nello stesso albergo dell'anno scorso, we went to the same hotel as last year; è lo stesso negozio dove andavo io, it's the same shop I went to; mi ha dato la stessa risposta che ha dato a te, he gave me the same answer he gave you; alla TV hanno dato lo stesso film della settimana scorsa, they showed the same film on TV as they did last week; tu farai la stessa cosa che hanno fatto gli altri, you'll do the same as the others // nello stesso tempo, al tempo stesso, at the same time: è una casa piccola, ma al tempo stesso funzionale, it's a small house but functional at the same time // Anche rafforzato da 'medesimo, identico': è la stessa ( medesima) cosa, (fam.) la stessissima cosa, it's exactly the same thing; ha ripetuto gli stessi identici errori dell'altra volta, he made exactly the same mistakes as last time2 (dopo un pron. pers. sogg. o un s., con valore rafforzativo o enfatico): io stesso, I myself, I... myself; tu stesso, you yourself, you... yourself; egli, lui stesso, he himself, he... himself; ella, lei stessa, she herself, she... herself; esso stesso, it itself, it.... itself; noi stessi, stesse, we ourselves, we... ourselves; voi stessi, stesse, you yourselves, you... yourselves; essi, loro stessi, esse, loro stesse, they themselves, they... themselves: ci andai io stesso, I went there myself; io stesso ho assistito alla scena, I witnessed the scene myself; guarda tu stesso, have a look yourself; lei stessa me lo disse, she told me herself (o she herself told me); noi stessi dovremmo prendere esempio da lui, we ought to follow his example ourselves; il sindaco stesso ha presenziato alla cerimonia, the mayor himself presided over the ceremony; è la bontà stessa, she is kindness itself3 (con i pron. rifl.) -self (pl. selves) (suffisso che serve a formare in inglese i pron. rifl.): me stesso, myself; te stesso, yourself, (poet. thyself); se stesso, himself; itself; (impers.) oneself; se stessa, herself; noi stessi, ourselves; (pl. di maestà) ourself; voi stessi, yourselves; loro stessi, themselves; conosci te stesso, (prov.) know thyself; si fida solo di se stesso, he trusts no one but himself; non si deve pensare solo a se stessi, one should not think only of oneself; sii fedele a te stesso, be true to yourself; devi solo prendertela con te stesso, you have only yourself to blame // di per se stesso, in itself4 ( con valore di proprio, esattamente; perfino) very: in quel momento stesso, at that very moment; oggi stesso, this very day; quella sera stessa, that very evening // la madre stessa lo ha riconosciuto colpevole, his own mother (o even his mother) thought he was guilty5 ( uguale per quantità o qualità) same, like: due piante della stessa specie, two plants from the same species; due abiti dello stesso colore, two dresses of the same colour; vendere allo stesso prezzo, to sell at the same price; lei non ha gli stessi problemi che hai tu, she hasn't got the same problems as you have; ha lo stesso carattere del padre, he's exactly the same as his father (o prov. like father like son); abbiamo la stessa età, we're the same age; hanno ricevuto lo stesso compenso, they received the same payment◆ pron.dimostr.1 ( la stessa persona) same: sono sempre gli stessi che si lamentano, it's always the same people who complain; dopo la malattia non è più lo stesso, he hasn't been the same since his illness; ''é lo stesso ragazzo che era scappato di casa?'' ''Sì, lo stesso'', ''Is it the same boy who ran away from home?'' ''Yes, the very same'' (o ''Yes, that's right'')2 ( la stessa cosa) the same: a me è capitato lo stesso, the same thing happened to me; anche lui dirà lo stesso, he'll say the same as well; loro stanno zitti. E tu fai lo stesso, they're keeping quiet (about it). You do the same; ...e lo stesso dicasi per qualsiasi altra lingua,...and the same is true of (o goes for) any other language // è lo stesso, fa lo stesso, it's all the same; ''Vuoi parlare con me o con lui?'' ''é lo stesso'', ''Do you want to speak to me or to him?'' ''It's (all) the same'' (o ''It doesn't make any difference''); possiamo vederci oggi o domani, per me fa lo stesso, we can meet today or tomorrow, it's all the same to me // siamo alle stesse, ( alle solite) it's the same as usual // (comm.) preventivo per installazione del citofono e messa a punto dello stesso, estimate for installing and setting up the intercom◆ avv. (fam.) ( nello stesso modo) the same; ( in ogni modo) all the same; anyway: ''Come sta il malato?'' ''Più o meno lo stesso di ieri'', ''How's the patient?'' ''Much the same as yesterday''; verrò lo stesso, anche se piove, I'll come anyway, even if it rains.* * *['stesso] stesso (-a)1. agg1) (medesimo, identico) same2) (esatto, preciso) very3)(rafforzativo: dopo sostantivo)
il medico stesso lo sconsiglia — even the doctor o the doctor himself advises against it4)(rafforzativo: dopo
pron pers sogg) l'ho visto io stesso — I saw him myselfvoi stessi sapete bene che... — you (yourselves) know very well that...
lei stessa è venuta a dirmelo — she came and told me herself, she herself came and told me
5)(rafforzativo: dopo
pron rifl) me stesso — myself6) (proprio) own2. pron dimostrchi canta? — lo stesso di prima — who's singing? — the same singer as before
3.lo stesso avv — (comunque) all the same, even so
* * *['stesso]aggettivo indefinito1) (medesimo) sameporta lo stesso abito di ieri, di sua sorella — she's wearing the same dress as yesterday, as her sister
2) (esatto, preciso) veryoggi stesso — this very day, today
gli esperti -i riconoscono che... — even the experts recognize that
lui o egli stesso he himself; lei o ella -a she herself; esso stesso, essa -a it itself; noi -i, -e we ourselves; voi -i, -e you yourselves; loro -i, -e, essi -i, esse -e they themselves; (oggetto) me stesso myself; te stesso yourself; se stesso (di persona) himself; (di cosa, animale) itself; (impersonale) oneself; se -a (di persona) herself; (di cosa, animale) itself; noi -i, -e ourselves; voi -i, -e yourselves; se -i, -e — themselves; (imperso nale) oneself
5) lo stesso, f. la stessa, m.pl. gli stessi, f.pl. le stesse pronome indefinito6) (persona, cosa) the same (one)fa o è lo stesso it's just the same; per me è lo stesso it's all the same o it makes no difference to me; lo stesso vale per lui the same goes for him; si è rifiutato di venire e lei (ha fatto) lo stesso — he refused to come and so did she
8) (ugualmente)••grazie lo stesso — thanks anyway o all the same
Note:v. la nota della voce questo* * *stesso/'stesso/v. la nota della voce questo.1 (medesimo) same; essere della -a grandezza to be the same size; è (sempre) la -a cosa it's (always) the same; porta lo stesso abito di ieri, di sua sorella she's wearing the same dress as yesterday, as her sister; ero nella sua -a classe I was in the same class as him; si pronunciano allo stesso modo they're pronounced the same2 (esatto, preciso) very; quella sera -a that very night; nel momento stesso in cui at the very moment when3 (con valore rafforzativo) oggi stesso this very day, today; nel tuo stesso interesse in your own interest; il presidente stesso ha assistito alla cerimonia the president himself attended the ceremony; gli esperti -i riconoscono che... even the experts recognize that...4 (accompagnato da pronome personale) (soggetto) io stesso I myself; tu stesso you yourself; lui o egli stesso he himself; lei o ella -a she herself; esso stesso, essa -a it itself; noi -i, -e we ourselves; voi -i, -e you yourselves; loro -i, -e, essi -i, esse -e they themselves; (oggetto) me stesso myself; te stesso yourself; se stesso (di persona) himself; (di cosa, animale) itself; (impersonale) oneself; se -a (di persona) herself; (di cosa, animale) itself; noi -i, -e ourselves; voi -i, -e yourselves; se -i, -e themselves; (imperso nale) oneselfpron.indef.1 (persona, cosa) the same (one); lo stesso che o di the same as2 (la stessa cosa) fa o è lo stesso it's just the same; per me è lo stesso it's all the same o it makes no difference to me; lo stesso vale per lui the same goes for him; si è rifiutato di venire e lei (ha fatto) lo stesso he refused to come and so did she3 (ugualmente) grazie lo stesso thanks anyway o all the same; ti amo lo stesso I love you just the same; ci andrò lo stesso I'll go all the same. -
19 AVERE
I см. тж. AVERE IIv-A1374 —— см. -A16— см. -A138— см. -A139— см. -A282— см. -A140avere agio di (+ inf.)
— см. -A357— см. -A391— см. -A411avere le ali {или l'ali) basse (или stanche, flosce)
— см. -A412— см. -A413— см. -A411— см. -A464— см. -A536— см. - M1239— см. - C724— см. -A560— см. -A560— см. - T96— см. - T517— см. -A583— см. -A586— см. -A587— см. -A648— см. -A736— см. -A776— см. -A777— см. -A837avere l'animo a...
— см. -A838avere l'animo di (+inf.)
— см. -A839— см. -A898avere gli anni di Matusalemme (или di Noè, di primo topo)
— см. -A899— см. -A941— см. - C725— см. -A962— см. -A995— см. -A996— см. -A1015— см. -A1063— см. -A1064— см. -A1097— см. -A1098— см. -A1131— см. -A1168— см. -A1275— см. -A1276— см. - D57— см. -A1345— см. -A1384— см. - B24— см. - B23— см. - B28— см. - B45avere il baco di...
— см. - B46— см. - B47— см. - B48— см. - B95— см. - B175— см. - B193— см. - B208avere il bandolo della matassa
— см. - B212— см. - B219— см. - B237avere la barba di (или a) (+ inf.)
— см. - B238— см. - B239— см. - B266averne basta (di...)
— см. - B314— см. - B373— см. - B390avere un bel (+ inf.)
— см. - B445— см. - F184— см. - C1522avere una bella età rispettabile
— см. - E250— см. - G481— см. - L615— см. - M5— см. - S1018— см. - B436— см. - T246— см. - V393— см. - B437— см. - B483-A1375 —avere qd per bene [per male]
— см. - D773— см. - B588— см. - R548— см. -A1180— см. - O673non aver bisogno di svegliarino
— см. - S2116— см. - B866— см. - B794avere la bocca buona [cattiva]
— см. - B867avere la bocca chiusa (или cucita, tappata)
— см. - B799— см. - B868— см. - B869avere qc per un boccone di pane
— см. - B967— см. - B1033— см. - B1034— см. - N38— см. - B1154— см. - B1155— см. - B1155— см. - B1210avere la briglia di qc in mano
— см. - B1225— см. - B1269avere un bruscolo in un occhio (или nell'occhio, negli occhi)
— см. - B1275— см. - C1522— см. - Q44— см. - B1316— см. - B1359avere le budelle legate insieme
— см. - B1360— см. - B1361— см. - B1377— см. - B1444— см. - B1445— см. -A102— см. - C86— см. - C1069— см. - C1522— см. - C2392— см. - C2808— см. - D238— см. - G481— см. - L435— см. - L780— см. - M538avere buona mano a (+ inf.)
— см. - M539— см. - M540— см. - M1202— см. - M1205— см. - N39— см. - N583— см. - O92a— см. - O355— см. - P687— см. - S147— см. - S1245— см. - S1610avere buono stomaco per...
— см. - S1769— см. - T246— см. - C9avere il calabrone nell'orciolo
— см. - C74— см. - C113— см. - C122— см. - C173avere nel (или sul) calendario
— см. - C174non avere qd nel suo calendario
— см. - C175— см. - C185non avere un callo a (+inf.)
— см. - C192— см. - C212— см. - C235— см. - C265— см. - C272avere campo di (или a) (+ inf.)
— см. - C375— см. - C2739— см. - C631— см. - C637— см. - C638— см. - C664— см. - C726— см. - C727— см. - C728— см. - C729— см. - C730— см. - C731averla tra (il) capo e il collo
— см. - C701— см. - C732— см. - C733— см. - C735— см. - G1059— см. - S580— см. - C736— см. - C861— см. - C876avere capriccio di...
— см. - C889— см. - C911— см. - C2982— см. - C928aver caro di (+ inf.)
— см. - C998— см. - C999aver caro meno d'una medagliata
— см. - M1024— см. - C1067— см. - C1063— см. - C1068— см. - C1155— см. - C1154— см. - T628— см. - C1272— см. - C1289— см. - C1522— см. - C2392— см. - Q44— см. - S147— см. - S1610— см. - V557— см. - C1304avere il cece (dentro le orecchie) (или all'orecchio, nell'orecchio, negli orecchi, agli orecchi)
— см. - C1437— см. - C1438— см. - G119— см. - C1490— см. - C1521— см. - C1514— см. - C1540— см. - E258— см. - S732avere il cervello a...
— см. - C1564— см. - C1567— см. - C1568— см. - C1569— см. - C1578— см. - C1566— см. - C1571— см. - G240— см. - C1566— см. - C1573avere il cervello nella lingua
— см. - C1574— см. - C1575avere il cervello nelle nuvole
— см. - C1566— см. - O8— см. - C1576— см. - C1577— см. - C1578— см. - C1579— см. - S580— см. - C1580— см. - C1569— см. - C1683avere la chiave rii...
— см. - C1700— см. - C1739— см. - C1740— см. - C1741avere una ciabatta di Machiavelli
— см. - M25— см. - C1782— см. - R551— см. - C1954avere in cocca frecce (или riardi, strali)
— см. - C1999— см. - C2025— см. - C2026— см. - C2027— см. - C2029— см. - C2027avere i coglioni gonfi (или pieni) di...
— см. - C2075— см. - C2103— см. - C2152— см. - C2183— см. - C2220— см. - C2272— см. - C2307— см. - C2308— см. - C2323— см. - C2334— см. - C2353avere (di) comune con...
— см. - C2373— см. - C2417— см. - C2459— см. - C2478— см. - C2484— см. - C2525— см. - C2605— см. - C2631— см. - C2637— см. - C2642— см. - C2674avere per le (или sulle) corna
— см. - C2689avere le corna (e sette palchi) (тж. avere le corna in testa)
— см. - C2691— см. - C2740— см. - C2809— см. - C2810— см. - C2811— см. - C2938— см. - C2939— см. - C2940— см. - C2972— см. - C3011— см. - C3084— см. - C3107— см. - C3122— см. - C3123— см. - C3146— см. - C3166— см. - C3224avere (il) cuore di (+ inf.)
— см. - C3225— см. - C3226— см. - C3227— см. - C3228— см. - C3229avere qd nel cuore (тж. aver cuore per qd)
— см. - C3230— см. - C3231— см. - C3232— см. - C3234— см. - G1060avere il cuor sulle labbra (или sulla lingua, in mano)
— см. - C3236— см. - C3237— см. - C3239— см. - C3310— см. - C3311— см. - D20— см. - F45— см. -A900— см. - D57avere debiti fin sopra i capelli
— см. - D64— см. - D87— см. - C2741a— см. - D89— см. - D98— см. - D99— см. - Q57— см. - D157— см. - D158— см. - D273— см. - D274— см. - D323— см. - D327avere il diavolo nelle braccia
— см. - B1157— см. - D323— см. - C2741a— см. - D324— см. - D325— см. - D323— см. - D327— см. - D380— см. - L996avere che (или a che, da) dire con... (или contro.., su...)
— см. - D504— см. - D550— см. - D616— см. - D622— см. - D624— см. - F237a— см. - D723— см. - D773— см. - D853— см. - D881non avere né dritto né rovescio
— см. - D568— см. - B1158— см. - C2941— см. - C3086non avere due dita di cervello
— см. - D686— см. - P1375— см. - E10avere effetto di (+ Znf.)
— см. - E26avere un emporio di cognizioni
— см. - E65— см. - E77— см. - E81— см. - E175— см. - E229— см. - E265— см. - F6— см. - G849avere (la) faccia di (+ inf.)
— см. - F46avere faccia di...
— см. - F47avere (la) faccia tosta di (+ inf.)
— см. - F46— см. - F48— см. - F142avere da (или af a che, che) fare con qd
— см. - F185— non avere (niente или nulla) a che fare con...
— см. - F186avere che fare in...
— см. - F188— см. - F237a— см. - F274— см. - F275— см. - F307— см. - F346— см. - F363— см. - F387— см. - F475— см. - F476— см. - F536— см. - F543— см. - F577avere fiato di (или da) (+ inf.)
— см. - F578— см. - F579— см. - F566— см. - F580— см. - F620— см. - F648— см. - F649— см. - F660avere fifa (или la fifa addosso)
— см. - F674— см. - F712— см. - F769— см. - R551— см. - F816— см. - F905— см. - F936— см. - F937— см. - O685— см. - F957— см. - F966— см. - F1041— см. - F1084— см. - F1117— см. - F1118— см. - F1119— см. - F1167— см. - F1223— см. - F1241— см. - F1288— см. - F1317— см. - F1356— см. - F1342— см. - F1441— см. - F1467avere il fuoco di...
— см. - F1517— см. - F1500— см. - F1501— см. - F1502— см. - G139— см. - G143avere una gamba in un posto, una in un altro
— см. - G140— см. - G141— см. - G295— см. - G348avere ghigna di (+ inf.)
— см. - G398— см. - G438— см. - G480— см. - N202— см. - G577— см. - G646— см. - G731— см. - G754— см. - G766— см. - G850— см. -A1187— см. - G901— см. - G911— см. - G929— см. - G948avere il granchio alla borsa (или al borsellino, alla scarsella, alle mani)
— см. - G957avere grane con...
— см. - G942— см. - C1660— см. - C1793— см. - F307avere una gran fiaccona addosso
— см. - F522— см. - M1205avere una gran sosta di debiti
— см. - D64avere grande stato (presso qd)
— см. - S1655— см. - G1019— см. - G1044avere la grinta di...
— см. - G1072— см. - G1081avere una grossa carta in mano
— см. - C1069— см. - P1029— см. - G1212— см. - G1211— см. - H1— см. - H3avere (l')idea di...
— см. - I16— см. -A930non averci l'imboccatura a...
— см. - I59avere il suo impiccato e le sue corna (тж. avere il suo impiccato all'uscio)
— см. - I118— см. - I181— см. - I331— см. - R57— см. -A438— см. - L224— см. - F363avere il leone per il ciuffetto
— см. - L379— см. - V475— см. - L568— см. - L664— см. - L665— см. - L666a— см. - L667non aver lingua, né occhi, né orecchi
— см. - L668— см. - L733— см. - L838— см. - L844avere la luna (или le lune; тж. aver la luna matta или storta, di traverso; aver le lune rovesce или a rovescio)
— см. - L897— см. - L977— см. - L992— см. - M5— см. - M44— см. - M209avere (или aversi, aversela, aversene) a male (тж. aversela per male)
— см. - M210— см. -A1375— см. - C325— см. - M211— см. - M185— см. - M541— см. - M293— см. - M322avere qc nella (или in) manica
— см. - M393— см. - M394— см. - M404— см. - M405— см. - M428— см. - M542avere mano a (+ inf.)
— см. - M539— см. - M543— см. - M544avere a mano (или alle mani, fra le mani, in mano, nelle mani, per mano, per la mano, per le mani, sotto mano)
— см. - M546avere le mani nei capelli a qd (тж. avere le mani in capo a qd или nella chioma di qd)
— см. - M486— см. - M547— см. - F237a— см. - M548— см. - M549— см. - M550— см. - M551— см. - M552— см. - M553— см. - M445— см. - M554— см. - M465— см. - M466— см. - M549— см. - V327avere un mattone sullo stomaco
— см. - M981— см. - M996aver la medaglia di San Venanzio
— см. - V208— см. - M1047— см. - M1072— см. - M1077— см. - M1111— см. - M1129— см. - M1130— см. - M1131— см. - M1132— см. - M1218aver mestieri (реже mestiere) di...
— см. - M1297non avere da mettersi le scarpe
— см. - S335— см. - I12— см. - M1399avere il miele in bocca, e il rasoio a cintola
— см. - M1400— см. - M1439— см. - M1521aver (la) mira a... (тж. aver in mira di..; aver di mira)
— см. - M1522— см. - M1533— см. - M1575— см. - M1574avere il modo di...
— см. - M1656— см. - M1657aver molti anni addosso (или di cavalletto, sul gallone, sul groppone, sulla groppa, sulla schiena, sulle spalle)
— см. -A901— см. - C243avere molta carne al fuoco (или a bollire, a cuocere)
— см. - C954— см. - C1661— см. - C1805— см. - D238— см. - G792aver molti inverni sul groppone
— см. - I365— см. - M1776— см. - P1461— см. - M1887— см. - M1888— см. - M1949— см. - G851— см. - M1958— см. - M2032— см. - M2118— см. - M2235avere (il) muso di...
— см. - M2234— см. - N39— см. - N40— см. - R552— см. - R553— см. - N228— см. - N229avere i nervi scoperti (или tesi, in pezzi, a fior di pelle)
— см. - N230— см. - N238non aver niente a che fare con...
— см. - F186non aver(ci) niente a che vedere con...
— см. - V114— см. - N321— см. - N344— см. - N393— см. - N474— см. - V530non aver nulla a che fare con...
— см. - F186— см. - S942non aver(ci) nulla a che vedere con...
— см. - V114— см. - N582— см. - N583— см. - N584— см. - O92a— см. - O94— см. - O95avere occhi per...
— см. - O96— см. - O98— см. - O99— см. - O100— см. - O102— см. - O37— см. - O101— см. - O103— см. - O104— см. - O105— см. - O100— см. - O109avere gli occhi alle inani a qd
— см. - O111non avere né occhi, né orecchi
— см. - O113— см. - O114— см. - O117— см. - O99 c)— см. - O119— см. - Q55non avere un'oncia di...
— см. - O359— см. - O373— см. - O390— см. - O374— см. - O375— см. - O515avere l'orecchio di...
— см. - O532— см. - O533— см. - O535avere gli orecchi foderati (di prosciutto или di salame, di panno)
— см. - O536— см. - O537— см. - O533— см. - O541avere origine da...
— см. - O599— см. - O642— см. - O685— см. - O686— см. - O687— см. - O688— см. - O689— см. - O690— см. - P1— см. - P84— см. - M2254— см. - P123— см. - P122— см. - P145— см. - P168— см. - P184— см. - P206avere del pancotto nel cervello
— см. - P216— см. - P321— см. - P351avere pappa nel cervello (тж. avere della pappa frullata nella testa)
— см. - P376— см. - P414— см. - P504— см. - P505— см. - P506— см. - P507— см. - P614— см. - P624— см. - P623— см. - P672— см. - P680— см. - P724— см. - P783— см. - P896— см. -A1035— см. - P897avere la pazienza di Giobbe (или d'un santo, d'un certosino, d'un benedettino)
— см. - P912— см. - P954a— см. - P998— см. - P1030— см. - P1014— см. - P1098— см. - P1099— см. - P1203aver pensiero a...
— см. - P1204aver il pensiero a...
— см. - P1205— см. - L948anon avere un pensiero al mondo
— см. - P1206— см. - P1232— см. - P1233— см. - P1266— см. - Q44— см. - P1406— см. - P1420— см. - P1421— см. - P1422— см. - P1565— см. - P1579— см. - P1585— см. - F1189avere il "piede sulla buccia di un cocomero
— см. - P1630— см. - P1631avere i piedi a (или in) terra
— см. - P1708— см. - B1033— см. - G910— см. - O120— см. - S363— см. - T97— см. - P1837— см. - P1840— см. -A902— см. - V17— см. - C271— см. - C2691avere più debiti della lepre (или che lepre, che peli)
— см. - D64— см. - G143— см. - G216— см. - N88— см. - D161avere più segreti d'un magnano
— см. - M116— см. - P1884— см. -A7— см. - M980— см. - M1133— см. - O121— см. - O293— см. - P945— см. - S1029— см. - P2062— см. - C737— см. - P2154— см. - P2206aver pratica di...
— см. - P2214aver le pratiche con...
— см. - P2215— см. - P2216— см. - P2249— см. - P2256non avere né principio né fine
— см. - F816— см. - C3312— см. - D625— см. - G481— см. - P2394— см. - N38— см. - P2396— см. - P2419— см. - P2513— см. - P2515avere un punto più del diavolo
— см. - P2514— см. - Q4— см. - C2889aver qualche linea (di febbre)
— см. - L616avere qualche santo in paradiso
— см. - S211— см. - Q19— см. - Q20avere (dei) quattrini a palate (тж. avere quattrini a glumelle)
— см. - Q57— см. - R4— см. - R54— см. - R55— см. - R56— см. - R57— см. - R114— см. - R172non avere regola, né modo
— см. - R200— см. - R274— см. - R268aver da ricoprire il melarancio
— см. - M1070— см. - R329— см. - R358avere riguardo (или riguardi) a...
— см. - R367— см. - R368non avere riguardo (da... a...)
— см. - R369— см. - R414aver rispetto di...
— см. - R431— см. - C2742— см. - S10— см. - R525— см. - R526— см. - R614— см. - R645— см. - S24— см. - S13— см. - S45— см. - S46— см. - S47— см. - S90— см. - F49— см. - S152— см. - S148— см. - S149— см. - S150— см. - S151— см. - S152— см. - S209non averci il suo santo a (+ inf.)
— см. - S210— см. - S211— см. - S298— см. - S335— см. - S409avere schifo a...
— см. - S426— см. - S445— см. - S468— см. - M1026— см. - B296— см. -A373— см. - M44— см. - S640— см. - S646— см. - S691— см. -A778— см. - S880— см. - P624— см. - S1031— см. - S1030— см. - S1082— см. - S1229— см. - S1233— см. - S1246— см. - S1247— см. - S1249— см. - S1245— см. - S1250— см. - S1239— см. - S1250— см. - S1283— см. - S1301— см. - S1324— см. - S1341— см. - S1362— см. - S1387— см. - S1407— см. - S1429avere Io spirito di...
— см. - S1466— см. - S1524— см. - S1734— см. - S1751avere la stoffa di...
— см. - S1752— см. - S1753— см. - S1756— см. - S1759avere stomaco per...
— см. - S1769— см. - S1770— см. - S1771— см. - S1772— см. - S1788— см. - S1913— см. - S1941— см. - S2058— см. - S2059— см. - S2060— см. - S2113— см. - T1— см. - T8avere tanti anni sul gallone (или sulla groppa, sul groppone или sulla schiena, sulle spalle)
— см. -A901— см. - B239avere tante fatiche sul groppone
— см. - F242— см. - L669— см. - O122avere tanta roba sullo stomaco
— см. - S1774— см. - T81avere il (или del) tarlo con qd
— см. - T91— см. - T98— см. - T99— см. - T100— см. - T105— см. - T101— см. - T104— см. - T102— см. - T103— см. - T97— см. - T104— см. - T105— см. - T131— см. - T248— см. - T249— см. - T250— см. - T348— см. - T408— см. - T444— см. - T519— см. - T520— см. - T523— см. - T526— см. - T521— см. - T524— см. - T518— см. - T525— см. - T526— см. - P959avere la testa piena di grilli
— см. - G1059avere la testa piena di segatura
— см. - T529— см. - T518— см. - T530— см. - T531— см. - T522— см. - S580— см. - T533— см. - T518— см. - T534— см. - T628— см. - M555— см. - T669— см. - T719— см. - T784— см. - T785— см. - T786— см. - T894— см. - C3086— см. - M980— см. - P248— см. - G142avere troppa carne al fuoco (или a bollire, a cuocere)
— см. - C954— см. - S781— см. - T964— см. - C3284— см. -A8— см. -A779— см. -A1277— см. - G578— см. - M1246avere tutti i quarti di nobiltà
— см. - Q47— см. - T784anon avere tutti i suoi venerdì
— см. - V216— см. - U39— см. - U68avere qd nelle (или sotto le, tra le) unghie
— см. - U77— см. - U73— см. - U97— см. - D915— см. - U181— см. - V38— см. - V67— см. - V70aver il vanto di...
— см. - V71— см. - V113non avere che vedere con...
— см. - V114— см. - V138— см. - V169— см. - V204— см. - S922aver venticinque soldi per lira
— см. - S923avere vento di...
— см. - V250avere il vento (della fortuna) in (или alla) poppa (тж. avere il vento in fil di ruota; avere il vento per sé)
— см. - V238— см. - V318— см. - V362— см. - V364— см. - V394— см. - V395— см. - V444avere via il capo dietro...
— см. - C738— см. - V475— см. - V570— см. - V654aver viso da (или di) (+ inf.)
— см. - V655— см. - V319— см. - V686— см. - V687— см. - M986— см. - V841— см. - C548— см. - V842— см. - V870non avere volto da (+m/.)
— см. - V960— см. - V961— см. - Z38— см. - Z76— см. - Z93— см. - T966— см. - G462mostrare di avere il cavallo di denari, poi avere la fantesca di coppe
— см. - C1368non sapere dove si ha la testa
— см. - T592— см. - C798abbi donna di te minore, se vuoi essere signore
— см. - D793— см. - F1134— см. - M1172abbi pur fiorini, che troverai cugini
— см. - F921avuta la grazia, gabbato lo santo
— см. - F507— см. - L318le bugie hanno coda corta (или le gambe corte, il naso lungo)
— см. - B1400casa che ha buon vicino, vai più qualche fiorino
— см. - C1191chi abbisogna non abbia vergogna
— см. - V333— см. - T793-A1376 —(è come la fiera di Sinigaglia) chi ha avuto, ha avuto
chi ha dell'amaro in corpo (или chi ha dentro amaro), non può sputar dolce
— см. -A585chi ha degli anni, ha dei malanni
— см. -A912chi ha arte, ha parte
— см. -A1172chi ha ad aver bene, dormendo gli viene
— см. - B498chi ha (buon) cavallo in stalla non si vergogna di andare (или può andare) a piedi
— см. - C1389chi ha buona lingua, ha buone spalle
— см. - L701chi ha il buon vicino, ha il buon mattutino
— см. - V559chi ha il capo di cera, non vada al sole
— см. - C816— см. - C882chi ha carità, carità aspetti
— см. - C932chi ha cinquanta carnevali, si può mettere gli stivali
— см. - C995chi ha denari e prati, non sono mai impiccati
— см. - D121chi ha denti non ha pane, e chi ha pane non ha denti
— см. - D206chi ha difetto e non tace, ode sovente quel che gli (di)spiace
— см. - D408a chi ha fame è buono ogni pane
— см. - F121— см. - F122chi ha fortuna in amor, non giuochi a carte
— см. - F1137chi ha fretta, indugi
— см. - F1321chi ha la gobba non se la vede
— см. - G819chi ha il grano non ha le sacca
— см. - G988chi ha il lupo nella bocca, l'ha sulla groppa
— см. - L1003chi ha il lupo per compare, porti (или tenga) il can sotto il mantello
— см. - L1004chi se l'ha a male, s'allenti
— см. - M231chi ha il mal vicino, ha il mal mattutino
— см. - V559— см. - M318— см. - M374chi ha moglie, ha doglie
— см. - M1684chi ha da morir di forca, può ballar sul fiume
— см. - F1058chi ha il neo, e non se Io vede, ha la fortuna, e non se lo crede
— см. - N164chi ha gli onori ne porta i pesi
— см. - O393chi ha orecchi, intenda (chi ha denaro spenda)
— см. - O591— см. - P901chi ha paura d'ogni figura, spesso inciampa nell'ombra
— см. - P903chi ha paura di passere, non semini panico
— см. - P904chi ha pazienza, ha i tordi grassi a un quattrin l'uno
— см. - P915chi ha del pepe, ne mette anche sul cavolo
— см. - P1260chi ha più cervello, più ne adoperi
— см. - C1621chi ha poco panno, porti il vestito corto
— см. - P340chi ha poca vergogna, tutto il mondo è suo
— см. - V334chi ha polli, ha pipite
— см. - P1972— см. - P2384chi ha ragione teme, chi ha torto spera
— см. - R84chi ha della roba, ha de' parenti
— см. - R476— см. - R499chi ha a rompere il collo, trova la scala al buio
— см. - C2133chi ha tegoli di vetro, non tiri sassi a] vicino
— см. - T167chi ha tempo, ha vita
— см. - T300chi ha tempo non aspetti (или non perda tempo; тж. chi ha tempo e aspetta tempo, perde tempo; chi ha tempo e tempo aspetta, tempo perde)
— см. - T299chi ha terra, ha guerra
— см. - T435chi ha ventura, poco senno gli basta
— см. - V300chi ha vigna, ha tigna
— см. - V569chi ha vin dolce, non imbotti agresto
— см. - V603chi lingua ha, a Roma va
— см. - L702chi lingua ha, se la caverà
— см. - L703chi moglie non ha, mogli mantiene
— см. - M1685chi moglie non ha, moglie si trova
— см. - M1686chi n'ha cento le marita; chi n'ha una l'affoga
— см. - C1501-A1377 —chi non ha cervello abbia gambe
— см. - G185chi non ha cervello, suo danno
— см. - C1622chi non ha dazio, non teme i dazini
— см. - D62chi non ha debiti non ha credito
— см. - D69chi non ha denari, scarta bella
— см. - D122chi non ha da fare, Dio gliene manda
— см. - D465chi non ha giudizio abbia gambe
— см. - G185— см. - I112chi non ha letto e desco, mangi in terra e dorma al fresco
— см. - L500— см. - P1483chi non ha poveri o matti nel parentado, è nato o di lampo o di tuono
— см. - P2192chi non ha quattrini, non abbia voglie
— см. - Q81chi non ha la testa, abbia gambe
— см. - G185chi non ha travagli, tenga de' cavalli
— см. - T884chi non l'ha all'uscio, l'ha alla finestra
— см. - U235— см. - T794-A1378 —chi più ha, [più desidera | più vuole]; chi più n'ha, più ne vorrebbe
-A1379 —chi più ne ha, più ne metta
chi poco ha, caro tiene
— см. - P1920chi tempo ha e tempo aspetta, perde l'amico e denari non ha mai
— см. - T301chi da venti non n'ha, di trenta non n'aspetti
— см. - V231— см. - C3098come fai, cosi avrai
— см. - F204-A1380 —come l'ho avuta, così l'ho data
— см. - P292— см. - G805è come la fiera di Sinigaglia chi ha avuto, ha avuto
— см. -A1376— см. - E160— см. - L318— см. - F608finché uno ha i denti in bocca, non sa quel che gli tocca
— см. - D210— см. - F1579— см. - G642ha ancora il latte alla (или sulla, in) bocca (или sui denti, sulle labbra)
— см. - L239-A1381 —— см. - N605— см. - G789— см. - G1208ha il malanno e l'uscio addosso
— см. - M155ha qualche freccia in suo arco
— см. - F1262il leone ebbe bisogno del topo
— см. - L383— см. - M1181i muli hanno forza nelle gambe
— см. - M2162— см. - N26ne ho pochi de'santi in camera
— см. - S220— см. - L318— см. -A1174— см. - N440— см. - O491— см. - F832— см. - M1484— см. - S1615— см. - S1334— см. - I201— см. - Z30— см. - C2928ogni diritto ha il suo rovescio
— см. - R593— см. - G962— см. - M255— см. - M1875— см. - M2061— см. - P1127— см. - P1360— см. - P1513— см. - R593— см. - S102— см. - S676— см. - C3098ognuno ha opinione, ma non discrezione
— см. - O420— см. - R102— см. - R500— см. - P1335— см. - P2196quando ha (da) andar male, vada cosi
— см. - M292quando s'ha a rompere il collo, si trova la scala
— см. - C2133quando puoi aver del bene, pigliane
— см. - B505— см. - E216— см. - R536il sapere ha un piede in terra, e l'altro in mare
— см. - S234se t'arrabbi, hai torto
— см. -A1138— см. - M1670se le rane avessero i denti...
— см. - R110se se n'avvede me l'abbo, se non se n'avvede me la gabbo
— см. - G7— см. - C2710i soldi hanno paura a star soli
— см. - S936superbia senz'avere, mala via suol tenere
— см. - S2099— см. - V55— см. - V382 -
20 come
[kʌm] 1. 2.1) (arrive) [person, day, success] venire; [bus, letter, news, rains, winter] arrivareto come from — (pro)venire da [airport, hospital]
to come into — entrare in [ room]
to come past — [car, person] passare
to come through — [ person] attraversare [town centre, tunnel]; [water, object] entrare da [ window]
to come running — venire correndo o di corsa
to come crashing to the ground — [ structure] crollare, schiantarsi al suolo
the time has come to do — è venuto o arrivato il momento di fare
come summer — in estate, quando verrà l'estate
2) (approach) venire, avvicinarsito come and see, help sb. — venire a vedere, ad aiutare qcn.
to come to sb. for money — venire a chiedere soldi a qcn.
I could see it coming — (of accident) l'ho visto o me lo sono visto arrivare
I've come about — sono venuto per o a proposito di
4) (attend) venireto come to — venire a [meeting, party]
5) (reach)to come (up, down) to — [water, dress, curtain] arrivare (fino) a
6) (happen)how did you come to do? — come hai fatto o sei riuscito a fare?
come to think of it, you're right — a pensarci bene, hai ragione
7) (begin)to come to believe, hate — finire per credere, odiare
8) (originate)to come from — [ person] venire da, essere (origi nario) di [city, country]; [word, legend] venire da [language, country]; [ substance] essere ricavato da [ raw material]; [coins, stamps, product] provenire da [ place]; [smell, sound] (pro)venire da [ place]
to come in — essere disponibile in [sizes, colours]
to come with a radio — [ car] essere dotato di radio
to come with chips — [ food] essere servito con (contorno di) patatine
10) (tackle)to come to — venire a, affrontare [problem, subject]
11) (develop)12) (in time, list, importance)to come after — venire dopo, seguire
to come before — venire prima di, precedere
to come first, last — [ athlete] arrivare (per) primo, (per) ultimo
where did you come? — come sei arrivato o ti sei piazzato?
13) (be due)they got what was coming to them — colloq. hanno avuto quello che si meritavano
when it comes to sth., to doing — quando si tratta di qcs., di fare
15) (have orgasm) colloq. venire3.come, come! — (in warning, reproach) andiamo!
- come at- come by- come in- come off- come on- come out- come to- come up••come again? — colloq. come(, scusa)?
come to that o if it comes to that, you may be right su o per questo, potresti aver ragione; to come as a shock — essere uno shock
* * *1. past tense - came; verb1) (to move etc towards the person speaking or writing, or towards the place being referred to by him: Come here!; Are you coming to the dance?; John has come to see me; Have any letters come for me?) venire, arrivare2) (to become near or close to something in time or space: Christmas is coming soon.) avvicinarsi3) (to happen or be situated: The letter `d' comes between `c' and è' in the alphabet.) venire4) ((often with to) to happen (by accident): How did you come to break your leg?) succedere5) (to arrive at (a certain state etc): What are things coming to? We have come to an agreement.) arrivare6) ((with to) (of numbers, prices etc) to amount (to): The total comes to 51.) essere2. interjection(expressing disapproval, drawing attention etc: Come, come! That was very rude of you!) suvvia!, (ma va!), (andiamo!)- comer- coming
- comeback
- comedown
- come about
- come across
- come along
- come by
- come down
- come into one's own
- come off
- come on
- come out
- come round
- come to
- come to light
- come upon
- come up with
- come what may
- to come* * *come /kʌm/n.(volg.) sperma eiaculato; sborra (volg.).♦ (to) come /kʌm/A v. i.1 arrivare; venire; giungere: The police came, è arrivata (o è giunta) la polizia; Mary hasn't come yet, Mary non è ancora arrivata; The letter came on Friday, la lettera è arrivata venerdì; When will my turn come?, quando verrà il mio turno?; ( I'm) coming!, sto arrivando!; arrivo!; vengo!; Someone's coming, viene (o sta venendo) qualcuno; arriva (o sta arrivando) qualcuno; when the time comes, quando verrà il momento; to come running, arrivare (o venire) di corsa; arrivare correndo; to come by car [on foot], venire (o arrivare) in macchina [a piedi]; Where are you coming from?, da dove vieni (o arrivi)?; We came to a clearing, siamo arrivati a una radura; I've come to the chapter where…, sono arrivato al capitolo in cui…; to come to the door, venire ad aprire (la porta); to come to the surface, venire in superficie; salire in superficie; to come to an agreement, raggiungere (o venire a) un accordo; to come to a conclusion [a decision], giungere (o arrivare) a una conclusione [una decisione]; I'll come to that point in a moment, toccherò questo punto tra un momento; to come at the truth, arrivare alla (o scoprire la) verità; There's still the dessert to come, deve venire ancora il dolce NOTA D'USO: - arrivare-2 venire ( con uno scopo): She came for lunch, è venuta a pranzo; I've come to pick up the trunk, sono venuto a prendere il baule; Come and help me, vieni ad aiutarmi; Come and see for yourself, vieni a vedere tu stesso; I've come to see Martin, sono venuto per vedere Martin; ( anche) sono venuto a trovare Martin; Come sailing with me, vieni in barca a vela con me; I've come about the flat on sale, sono venuto per l'appartamento in vendita; Tom has come for the bike, Tom è venuto a prendere la bici NOTA D'USO: - go to / go and-3 venire; provenire; ( di cosa, anche) derivare, essere ricavato: Where do you come from?, da dove vieni?; di dove sei?; Where does this money come from?, da dove viene questo denaro?; I come from Greece, sono greco; Music was coming from the room, dalla stanza veniva della musica; These sculptures come from the Barnes collection, queste sculture provengono dalla collezione Barnes; to come from a good family, venire da una (o essere di) buona famiglia; «Master» comes from the Latin «magister», «master» deriva dal latino «magister»4 arrivare, giungere (a fare qc., come conclusione); finire per: I have come to believe he is wrong, sono giunto a credere che abbia torto; She came to think of the cat as her own, ha finito per considerare il gatto come suo5 arrivare ( in altezza, lunghezza); salire; scendere: The water came up to here, l'acqua arrivava fin qui; Her hair came down to her waist, i capelli le arrivavano (o scendevano fino) alla vita6 venire ( in un ordine di priorità); arrivare, classificarsi ( in un esame, una gara, ecc.): My children come first, i miei figli vengono prima di tutto; He came second in the exam, nell'esame è arrivato secondo8 accadere; succedere; avvenire: No harm will come to him, non gli succederà niente di male; How did she come to be there? (o How come she was there?), com'è successo che lei si trovasse là?; come mai lei si trovava la?; come what may, accada quel che accada; succeda quello che deve succedere; to take things as they come, prendere le cose come vengono9 (seguito da agg. o part. pass.) diventare; farsi ( ma spesso in ital. corrisponde un verbo specifico): to come alive, animarsi; ravvivarsi; vivacizzarsi; to come loose, allentarsi; ( di porta, ecc.) to come open, aprirsi; to come undone, slacciarsi; sbottonarsi; ( di nodo, ecc.) sciogliersi; to come untied, slegarsi; to come true, avverarsi; realizzarsi10 (fam.) costare; venire: to come expensive, costare (o essere) caro; Fast cars don't come cheap, le auto veloci non costano poco11 (comm.: di articolo) essere disponibile; esistere; essere venduto: DIALOGO → - Clothes 4- Do they come in any other colours?, sono disponibili in altri colori?; This model comes in several colours, questo modello è disponibile in diversi colori12 ( di portata) essere servito: The steak comes with roast potatoes and mushrooms, la bistecca è servita con patate arrosto e funghi14 (all'imper.) andiamo!; su!; suvvia!; dài! (fam.); ( anche) ma no!, figurati!: Come, that's silly!, andiamo, che sciocchezza!; Come, come, there's no need to thank me!, ma no, non devi ringraziarmi!B v. t.1 percorrere; fare: I have come ten miles, ho percorso dieci miglia; ( anche fig.) He had come a long way, aveva fatto molta strada3 (fam.) – to come the, fare il (o la): Don't come the bully with ( o over) me, non fare il prepotente con me!● come (seguito da indicazione di tempo), ora di, quando verrà: come next year, ora dell'anno prossimo; l'anno prossimo; come spring, ora della primavera; quando verrà la primavera; a primavera □ to come and go, andare e venire □ to come after, venire dopo; esserci dopo; seguire; venire dietro: What comes after?, che cosa viene dopo?; che c'è dopo?; Come after me, seguitemi; venitemi dietro □ to come again, ritornare; tornare: Please come again!, tornate (a trovarci)! □ (fam.) Come again?, come hai detto?; come?; scusa? □ (fam.) Come and get it!, è pronto; a tavola! □ to come as a disappointment, deludere; essere deludente □ to come as a relief, essere un sollievo; tranquillizzare □ to come as a surprise, giungere inatteso □ to come as a shock, essere uno shock; scioccare □ to come before, venire prima di; precedere; ( anche) comparire davanti a: «Major» comes before «captain», «maggiore» viene prima di «capitano»; to come before the judge, comparire davanti al giudice □ (fam.) to come clean, dire tutta la verità; confessare tutto □ to come close to, essere lì lì per; essere a un passo dal: to come close to winning, essere lì lì per vincere; sfiorare la vittoria □ to come closer, avvicinarsi; farsi più vicino □ to come easily, essere facile (per q.); venire facile: Speaking in public didn't come easily to him, non gli veniva facile parlare in pubblico □ ( sport) to come from behind, rimontare e vincere □ (fam.) to come good, riscattarsi □ to come home, tornare a casa; rientrare; ( sport: nelle corse) tagliare il traguardo □ to come home to sb., diventare chiaro a q.: At last it came home to him that I had no money, finalmente ha capito che non avevo soldi □ (fam.) to come it a bit strong, esagerare; metterla giù un po' dura □ (fam.) Don't come it with me!, non darti delle arie con me! □ to come naturally, essere naturale (a q.); venire naturale □ to come near to = to come close to ► sopra □ (leg.) to come of age, uscire di minorità; diventare maggiorenne □ (comm.) to come on offer, essere offerto: (fin.) Intercom shares came on offer at £5, le azioni della Intercom furono offerte a 5 sterline □ (fam.) to come on the scene, arrivare (sulla scena); comparire; fare la propria comparsa □ to come on top of st., aggiungersi a qc. ( di spiacevole) □ ( di veicolo) to come past, passare □ to come right, andare a posto; aggiustarsi □ (naut.) to come to anchor, ancorarsi □ to come to be, diventare: He came to be a famous painter, diventò un pittore famoso □ to come to blows, venire alle mani □ to come to an end, giungere al termine; finire □ to come to light, venire alla luce; scoprirsi □ to come to life, rinvenire, riprendere conoscenza; dimostrare interesse, interessarsi □ to come to like, imparare ad apprezzare; arrivare a trovare simpatico: I've never come to like whisky, non sono mai riuscita a farmi piacere il whisky; I came to like him in the end, finii per trovarlo simpatico; alla fine arrivò a piacermi □ to come to no harm, non patire; non subire danni: I don't want her to come to any harm, non voglio che le succeda nulla □ to come to nothing, non approdare a nulla; non portare a nulla; finire in niente □ (lett.) to come to pass, avvenire; accadere □ It comes to the same thing, è lo stesso; la cosa non cambia □ to come to one's senses, rinvenire; tornare in sé □ (fig. fam.) to come to stay, venire a stare (da q.); ( anche) prendere piede; affermarsi □ to come to a standstill, fermarsi; arrestarsi □ to come to terms with, accettare (qc. di spiacevole o doloroso); farsi una ragione di □ It might not come to that, è possibile che non si arrivi a questo (o a questi punti); potrebbe non verificarsi; potrebbe non essere necessario; He didn't believe her, nor, come to that, did I, lui non le credette, e in realtà nemmeno io □ when you come to think of it, a pensarci bene; riflettendoci: ( Now I) come to think of it, he was out the whole day yesterday, ora che ci penso, ieri lui è stato fuori tutto il giorno □ to come with practice [age, ecc.], venire [essere appreso, raggiunto, ecc.] con la pratica [l'età] □ to come within earshot of, giungere a portata d'orecchi di □ to come within range, arrivare a tiro ( di fucile, ecc.) □ to come within sight of, giungere in vista di □ ‘Coming soon’ ( cartello), ‘torno presto’ □ as… as they come, enormemente: as rich as they come, ricchissimo; as silly as they come, stupidissimo; stupido come pochi □ (iron.) He's got a big surprise coming to him!, avrò (o lo aspetta) una bella sorpresa □ (fam.) She only got what was coming to her, ha avuto solo quello che si è meritata; ben le sta □ (fam.) You had it coming, ( di punizione, ecc.) hai avuto quello che ti meritavi; te lo sei meritato □ (fam.) How come?, perché?; come mai?: How come you didn't join the party?, come mai non ti sei unito alla comitiva? □ (fig.) I don't know whether I'm coming or going, non so più quello che sto facendo; sto perdendo la testa □ ( slang) Let'em all come!, s'accomodino, vengano pure ( e avranno quello che si meritano)! □ I could see it come, me l'aspettavo □ (dopo espressioni di tempo) to come, futuro; nel futuro; a venire: generations to come, generazioni future; in years to come, negli anni a venire □ when it comes to, quando si tratta di; in fatto di □ where sb. is coming from, che tipo è q.; come la pensa q.; che cosa ha in mente q.: I couldn't work out where he was coming from, non ruiscivo a capire che cosa avesse in mente.* * *[kʌm] 1. 2.1) (arrive) [person, day, success] venire; [bus, letter, news, rains, winter] arrivareto come from — (pro)venire da [airport, hospital]
to come into — entrare in [ room]
to come past — [car, person] passare
to come through — [ person] attraversare [town centre, tunnel]; [water, object] entrare da [ window]
to come running — venire correndo o di corsa
to come crashing to the ground — [ structure] crollare, schiantarsi al suolo
the time has come to do — è venuto o arrivato il momento di fare
come summer — in estate, quando verrà l'estate
2) (approach) venire, avvicinarsito come and see, help sb. — venire a vedere, ad aiutare qcn.
to come to sb. for money — venire a chiedere soldi a qcn.
I could see it coming — (of accident) l'ho visto o me lo sono visto arrivare
I've come about — sono venuto per o a proposito di
4) (attend) venireto come to — venire a [meeting, party]
5) (reach)to come (up, down) to — [water, dress, curtain] arrivare (fino) a
6) (happen)how did you come to do? — come hai fatto o sei riuscito a fare?
come to think of it, you're right — a pensarci bene, hai ragione
7) (begin)to come to believe, hate — finire per credere, odiare
8) (originate)to come from — [ person] venire da, essere (origi nario) di [city, country]; [word, legend] venire da [language, country]; [ substance] essere ricavato da [ raw material]; [coins, stamps, product] provenire da [ place]; [smell, sound] (pro)venire da [ place]
to come in — essere disponibile in [sizes, colours]
to come with a radio — [ car] essere dotato di radio
to come with chips — [ food] essere servito con (contorno di) patatine
10) (tackle)to come to — venire a, affrontare [problem, subject]
11) (develop)12) (in time, list, importance)to come after — venire dopo, seguire
to come before — venire prima di, precedere
to come first, last — [ athlete] arrivare (per) primo, (per) ultimo
where did you come? — come sei arrivato o ti sei piazzato?
13) (be due)they got what was coming to them — colloq. hanno avuto quello che si meritavano
when it comes to sth., to doing — quando si tratta di qcs., di fare
15) (have orgasm) colloq. venire3.come, come! — (in warning, reproach) andiamo!
- come at- come by- come in- come off- come on- come out- come to- come up••come again? — colloq. come(, scusa)?
come to that o if it comes to that, you may be right su o per questo, potresti aver ragione; to come as a shock — essere uno shock
См. также в других словарях:
vedere — ve·dé·re v.tr. e intr., s.m. (io védo) FO 1a. v.tr., percepire attraverso gli occhi, con il senso della vista: vedere una luce, le stelle in cielo; da qui si vede il mare, con questa nebbia non si vede niente; lo vidi avvicinarsi da lontano |… … Dizionario italiano
così — /ko si/ [lat. eccu(m ) sic ]. ■ avv. [nel modo che si vede, che s è detto o che si sta per dire: c. va il mondo ; non parlare c. ; tutti lo chiamano c. ; ha detto proprio c. ; Canti, e c. trapassi Dell anno e di tua vita il più bel fiore (G.… … Enciclopedia Italiana
oltre — ól·tre avv., prep. FO 1a. avv., più avanti, al di là di un punto di riferimento spaziale: non mi ha visto e ha proseguito oltre, è passato oltre con indifferenza | fig., al di là di un limite ritenuto giusto e conveniente: lo scherzo è andato… … Dizionario italiano
vita — 1vì·ta s.f. FO 1. condizione di ciò che vive, proprietà essenziale degli organismi viventi in quanto nascono, crescono, si riproducono e muoiono; l insieme dei fenomeni (nascita, sviluppo, riproduzione, ecc.) caratteristici di tali organismi:… … Dizionario italiano
così — {{hw}}{{così}}{{/hw}}A avv. 1 In questo modo: non devi comportati –c; così va il mondo! | Rafforz. di un affermazione o di una negazione: è proprio –c; non è così | E –c?, e allora? | E così via; e così via dicendo, eccetera | (iterat.) Così e –c … Enciclopedia di italiano
sì (1) — {{hw}}{{sì (1)}{{/hw}}A avv. 1 Si usa come affermazione di ciò che viene domandato o proposto: ‘vuoi uscire con noi?’ ‘Sì’ | Dire, rispondere, accennare, fare di sì, accettare, dare risposta affermativa | Se sì, in caso affermativo: pensaci, e se … Enciclopedia di italiano
distanza — /di stantsa/ s.f. [dal lat. distantia, der. di distare distare ]. 1. a. [lunghezza del percorso fra elementi, anche con le prep. fra, tra degli elementi distanti e di della misura: d. fra due città ; gli sparò alla (o dalla ) d. di 20 metri ]… … Enciclopedia Italiana
Anexo:Sesgos cognitivos — El hombre en el centro ha cometido un error en sus pasos de baile, y choca contra la mujer, que se enoja y los demás murmuran. En la obra de Jane Austen Orgullo y prejuicio (1813) se muestra claramente el prejuicio de clases sociales y cómo el… … Wikipedia Español
Wikipedia:Café (todos) — Atajos WP:CWP:C … Wikipedia Español
James Joyce — James Joyce … Wikipedia Español
Historia del cristianismo en España — Cristo crucificado, de Velázquez. El cristianismo en España tiene una larga historia: casi dos mil años, según la leyenda que remonta sus orígene … Wikipedia Español